La guerra non avviene solo sul campo (con oltre 60 mila vittime e 150.000 feriti, oltre che un numero indefinito di dispersi sotto le macerie) ma anche sul piano della cosiddetta “narrazione mediatica”. Le agenzie di stampa e le organizzazioni per la libertà di informazione hanno denunciato l’uccisione di oltre 275 giornalisti e operatori dei media, come nell’ultimo eccidio nell’ospedale di Khan Yunis. Un bilancio senza precedenti che ha superato di gran lunga il numero di giornalisti al fronte uccisi al fronte durante la IIGM. Questo dato drammatico solleva non solo pesanti interrogativi sulla sicurezza di chi cerca di documentare la realtà sul campo, ma mette in evidenza una strategia deliberata da parte del governo di Netanyahu volta a silenziare le voci indipendenti e controllare le informazioni. In questo contesto, l’invio di un gruppo di influencer israeliani e americani nella Striscia di Gaza da parte del governo israeliano per “mostrare” che non c’è carestia, incarna non solo il cinismo del governo ma la profonda corruzione morale di tanti personaggi seguiti da alcuni milioni di “follower” sui social e disposti a vendersi per fama e soldi. Questi personaggi sono usati dal governo di Israele per diffondere una narrazione patinata e fuorviante, che si scontra in modo oltraggioso con i reportage di giornalisti professionisti e le testimonianze di organizzazioni umanitarie.
Sui social circolano, per mano di influencer (indegni anche solo di essere citati per nome) al soldo dei criminali di Tel Aviv, affermazioni propagandistiche come “a Gaza ci sono ristoranti stellati” o che “la fame dei bambini è responsabilità solo delle loro madri”.
“Vedo i miei figli piangere per la fame, e l’unica cosa che posso fare è stringerli forte e dirgli che domani andrà meglio, sapendo che non è vero.” È una giovane madre di Gaza che racconta il dolore quotidiano di molte decine di migliaia che come lei cercano ogni giorno di sopravvivere alla guerra per fame.
Fabio Beltrame
