antropologia della decadenza e del riscatto
le prime radici e l’ultimo impero/17
COSCIENZA IRRIDUCIBILE

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Abbiamo cominciato a esplorare il costante apparire sotto diverse forme della coscienza. Soffermandoci possiamo avvertire quanto essa sia implicita, condizionante e condizionata, rispetto alle altre nostre radici; in qualche modo scorre sottesa eppure è quella maggiormente indipendente perché è dalla coscienza che partiamo e ripartiamo sempre avvertendo l’irriducibilità del nostro io sensibile ed astratto.

L’idea di noi stessi, in qualche modo, nelle sue profondità e nelle sue contraddizioni, nelle sue peculiarità ed incomprensioni, nella sua interezza e nella sua incompletezza, nel suo splendore e nella sua miseria appartiene solo a noi stessi… Oppure no? Il dubbio sorge legittimo e talvolta inquietante perché il significato della nostra coscienza non può prescindere dal momento che stiamo attraversando, dalla prospettiva che ci immaginiamo e dal futuro cui aneliamo, dai trascorsi di cui è frutto. La storia della coscienza di ciascuna/o, sin dal suo sorgere e nei suoi imprevedibili o agognati sviluppi, è intrinsecamente legata alle presenze delle altre persone, si qualifica nel suo manifestarsi verso di loro. Possiamo riscontrare questo nesso inscindibile e variabile negli stupefacenti slanci di generosità e persino negli accessi ed eccessi del più oscuro egoismo.

La coscienza della propria persona è (e comporta) le rappresentazioni delle origini materne, limpide o nebulose, evidenti o sottese, implicite o esplicite. Il proprio io emerge e si staglia, si qualifica o si squalifica, si vivifica o si mortifica nel costante rapportarsi e confrontarsi con le altre e gli altri intesi come autonome individualità, oppure nelle relazioni dirette o indirette o, ancora, nelle collettività note o estranee. Dalle altre e dagli altri, prossimi o meno che siano, traiamo più o meno fortemente lezioni e contraddizioni, magnifiche conferme o cocenti delusioni, insomma la linfa della nostra coscienza, che pure ci appare così strettamente personale. Nessuna coscienza individuale propriamente detta può prescindere dai nostri simili che sappiamo coscienti e ci sanno coscienti. L’idea che abbiamo della nostra personalità e come viene variando è in ogni caso frutto del contesto culturale, nelle sue mille sfaccettature, di cui ci nutriamo mentre comunque lo interpretiamo, grazie alla potenza coscienziale, a modo nostro: contestandolo o esaltandolo, superandolo o subendolo. Finalmente e soprattutto, la coscienza si misura, si eleva e si abbatte, si esalta e si contraddice nella ricerca e nella valutazione del bene cui aneliamo e dei valori ad esso collegati. È nella nostra coscienza morale che maggiormente verifichiamo e valutiamo, giudichiamo e progettiamo il nostro essere con e per le/gli altre/i e il loro essere per noi.

Quando ci sembra di aver raggiunto una piena autonomia coscienziale – quale che sia la qualificazione che ne diamo – clamorosamente o sottilmente, intuendo o meditando ci accorgiamo che invece siamo perennemente influenzati, condizionati, sospinti o respinti dai contesti che ci hanno reso tali ma ci forniscono sempre la possibilità di essere ulteriormente e diversamente. Ciò è tanto più possibile in quanto ci riconosciamo e proviamo ad interpretare da protagonisti attivi le nostre radici. Perché la coscienza è la coscienza della nostra capacità e possibilità di scegliere, è il regno incontrastato ma enigmatico delle nostre scelte; qualsivoglia scelta non avviene mai in condizioni pure: dovrà fronteggiare o scansare, sfruttare o contrastare, superare o assecondare molteplici condizioni, opportunità od ostacoli.

Una meravigliosa opportunità si schiude per ogni persona: indirizzare coscientemente la propria vita. È un cammino che urge sin dalla più tenera età; poi diventa più chiaro e possibile attraverso una serie di passaggi: salti e cadute, picchi e precipizi, esplosioni di gioia e delusioni cocenti segnano il cammino della vera e propria presa di coscienza. Conoscendo le altre e gli altri, conoscendo le cose, conosciamo noi stessi e ne prendiamo coscienza. È proprio questo percorso non scontato, spesso accidentato, disseminato di trappole, che ci suggerisce l’importanza della posta in gioco.

Abbiamo una fantastica ed irriducibile capacità di scegliere e di continuare a scegliere meglio, di correggerci e migliorarci che diverrà ancor più efficace se sapremo far leva sulle nostre radici e le nostre qualità essenziali, ovvero se sapremo sceglierci sapendo che non operiamo in condizioni pure né chimicamente né tantomeno umanamente. Scelte coscienziali sbagliate perché vilmente diminutive delle nostre capacità possono portarci alla perdizione di vivere anonimi alla giornata, oppure se prepotentemente accrescitive delle nostre capacità, possono precipitarci nel misero squallore dell’egotismo.

Nell’epoca decadente che attraversiamo le scelte coscienziali appaiono tanto più importanti e urgenti, ma nel frattempo incontrano ostacoli da sempre tipici delle società oppressive oppure insorti più recentemente. Del primo tipo fanno parte la negazione o il tentativo di riduzione della primarietà femminile così come la grevità delle culture dominanti e soprattutto l’espandersi e la persistenza delle guerre guerreggiate di vario tipo che, come vedremo, divengono un terribile ostacolo per il salto coscienziale delle giovani generazioni e più in generale rischiano di offuscare la coscienza di chiunque. Più recentemente si è accentuata la miseria ossessiva di un’istruzione – scolastica e universitaria – alienante ed in nessun modo positivamente suscitante. Al contempo viviamo un aggravarsi delle lacerazioni tra le soggettività che danneggiano ulteriormente le relazioni, rendono ancor più estranee e provvisorie le collettività ma soprattutto prostrano grandemente le individualità: nell’era della propaganda truffaldina dell’individualismo superficiale e sfrenato si stinge ancor più la possibilità per ogni persona di essere una personalità dalle caratteristiche proprie, uniche ed inimitabili. Assieme a questi si erge un impedimento ancor più grave sul cammino della crescita complessiva e quindi della presa di coscienza in generale ed in primis morale: si tratta del carattere e della diffusione delle tecnologie leggere e dell’evidente dipendenza che comportano, causando danni fisici e psichici ancora poco calcolati. La questione è tanto più grave perché l’utilizzo dissennato dello smartphone viene contrabbandato come una scelta propria e considerato indispensabile per vivere in una società estranea sotto padroni spesso invisibili. Ciò comporta un autocoinvolgimento ingannevole vertente sul presunto arricchimento delle proprie possibilità, su un fantomatico ampiamento degli orizzonti (sempre e per definizione virtuali, quindi ingannevoli), sul fasullo moltiplicarsi delle possibilità relazionali e del vissuto comune, resi in realtà sempre più superficiali ed alienati quando non direttamente perversi on line. Si stanno moltiplicando, da varie fonti, denunce ed allerta sui pericoli dell’uso e dell’abuso di internet nelle sue diverse modalità, non sappiamo ancora con quali conseguenze. Sin da subito è opportuno concentrarsi sul macchinoso attacco alle nostre prime radici naturali ed impegnarsi per una vigorosa riscossa delle coscienze dal vivo e in diretta.

Contrarietà e scoperte coscienziali

Mentre ci rendiamo conto dell’importanza, del valore imprescindibile della coscienza per le nostre vite perché la avvertiamo urgere irresistibile, incontenibile dentro di noi, d’improvviso ci capita di precipitare nello sconforto. Quella stessa forza intima, quell’energia interiore si scompone, si dissolve preda di una difficoltà, piccola o grande, ma che comunque ci sembra insormontabile. Improvvisamente ci scopriamo inermi, incapaci, fragili, indifesi o anche più semplicemente indecisi, incerti, impacciati, inutili, insoliti, incompresi: come se stessimo scivolando nell’oscurità dell’anonimato, dell’annichilimento. Dallo sconforto momentaneo, da una piccola contrarietà, da un incidente casuale rischiamo di precipitare nel buio coscienziale. Si tratta di quella “malattia” passeggera ma non perciò poco importante, di quel malessere che da sempre e dovunque con referenti e linguaggi, colori e stimoli diversi cattura le/gli adolescenti, o anche chi non lo è già più, ad un certo punto della loro esistenza. Può essere aggravato da condizioni esistenziali più difficili ma diversamente si appalesa anche per chi è più accudito e riguarda persino i privilegiati. Come abbiamo accennato prima: di questi tempi le cose si aggravano per la decadenza culturale e l’invadenza tecnologica, ma questo passaggio chiave e complicato è credibilmente sempre avvenuto ed avverrà sempre. Quel meraviglioso slancio vitale si trasforma repentinamente nel mal du vivre.Si faccia avanti chi non c’è passato!

Sono proprio queste contrarietà nei percorsi di acquisizione e crescita coscienziale che ci invitano a tornare sul carattere basale, elementare – potremmo dire molecolare – della coscienza intesa come coscienza di ciò che sentiamo/percepiamo.

Addentrandoci nelle semplici e misteriose scoperte, nelle conferme o smentite, sorprese o incomprensioni della nostra vita quotidiana – perché ci capitano ogni giorno! – ci possiamo rendere conto dei rapporti complessi che intercorrono tra i messaggi sensoriali, anche i più elementari, e le nostre interpretazioni coscienziali, comprese le più complesse. Di conseguenza e giustamente ci chiediamo: da che deriva spesso la prepotenza di queste ultime?

A proposito di questo nesso Bergson si spinge ulteriormente in avanti con questa interessante annotazione: “…non riusciamo affatto a spiegarci le differenze d’intensità che noi stabiliamo tra i fatti psicologici profondi che emanano da noi e non più da una cosa esterna.”1

Possiamo spaventarci per un episodio del tutto banale ed insignificante, oppure entusiasmarci per un semplice sguardo gentile. Possiamo convincerci di essere incapaci di compiere un’azione elementare perché ce la siamo stranamente rappresentata come terribilmente complicata. Possiamo credere in una bugia evidente solo perché ce l’hanno raccontata in un momento di nostra particolare benevolenza, oppure possiamo trarre delle conclusioni affrettate da condizioni ambientali che ci sembrano stranamente cambiate. D’altra parte la considerazione del filosofo francese ci fa riflettere su una forza di suggestione coscienziale che non ha un nesso diretto con fattori esperienziali. Possiamo notare ancora che uno stato di forte eccitazione o viceversa di eccessivo abbattimento, quali ne siano le cause, può arrivare ad alterare la coscienza più profonda di noi.

Gli interrogativi sull’operare anche elementare della coscienza così si infittiscono, ci pongono ulteriori domande ed inanellate. Sappiamo che esiste sempre un qualche nesso tra le sensazioni corporee e i riflessi psicologici che ne derivano, che però in molti casi sono più opportunamente definibili come elaborazioni coscienziali giacché il significato che diamo loro va molto oltre il semplice riflesso psicologico. Quest’ultimo d’altra parte può essere di vario tipo e non sempre proporzionato all’effettiva esperienza fisica che l’ha suscitato. C’è inoltre da considerare che gli stati psicologici antecedenti una qualsivoglia esperienza sensoriale possono spropositarne il significato o viceversa sminuirlo.

In effetti sembra opportuno distinguere tra esperienze sensoriali, riflessi psicologici e laboratorio coscienziale perché quest’ultimo non riguarda il nostro stato coscienziale peculiare nel momento dato di una determinata esperienza ma riflette per intero il nostro io: è cioè anche la coscienza nella sua espressione più alta che può avere un ruolo modesto o insignificante nel valutare una sensazione e/o elaborarne i riflessi (o gli antecedenti) psicologici, ma viceversa può ingrandirne e persino spropositarne i significati.

Proviamo ad immaginare un nostro stato coscienziale superiore particolarmente concentrato e motivato: sapremo valutare con maggiore equilibrio non solo quella determinata esperienza sensoriale ma anche ciò che ne segue o che la precede psicologicamente, e dunque considerare non solo il nesso ma anche elaborarne gli eventuali significati dal punto di vista della coscienza alta. Prendiamo in esame lo scenario opposto: una coscienza del nostro io decisamente alterata e confusa potrà facilmente farci spropositare il significato di un’esperienza sensoriale e fraintenderne o sottovalutarne i riflessi o gli antecedenti psicologici, addirittura potrà precipitarci in una crisi ulteriore dal punto di vista della coscienza intera di noi stessi.

La complessità del lavorio coscienziale ci sollecita ad esplorarne la funzione attraverso le caratteristiche del nostro mondo interno: quanto ne è causa agente e quanto ne viene influenzata? Come si sviluppa nelle altre tensioni connaturate? Come influisce e viene influenzata dalle facoltà? Come permea e si prova nelle intenzioni concrete?

* Henri Bergson, Essai sur les données immédiates de la conscience, pag. 4, Presses Universitaires de France, Paris, 1961.1