Antropologia della decadenza Le prime radici e l’ultimo impero/18

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Speranze umane nella tragedia mondiale

Ogni giorno la vita umana nasce e muore, rinasce e si sviluppa, si svolge e si interpreta, si afferma e resiste, fiorisce e appassisce, si accresce e si sminuisce, si dice e si contraddice, si cerca e si trova oppure non abbastanza, ci appare meravigliosa o tremenda, ci offre fantastiche opportunità oppure tremende delusioni. È comunque la nostra vita, ci appartiene per natura condivisa e per culture diverse, ci riguarda tutte e tutti eppure non si replica mai uguale, ci accomuna nelle tensioni ma si colora in modo irripetibile nelle facoltà di ciascuna/o e si ritrova – convergente o divergente – nelle intenzioni concrete. Si riconosce, la vita comune e disuguale, nelle radici prime: nasciamo tutti da donne; siamo individui sempre e comunque relazionali e sociali nei modi più svariati; la rappresentazione cosciente che abbiamo dell’esistenza è squisitamente ed unicamente nostra, fondante e sfuggente; la lingua che parliamo, leggiamo e scriviamo, le idee che ci veniamo facendo, le arti che ammiriamo, le religioni o le visioni in cui crediamo sono frutto di culture secolari eppure semoventi, sovrastanti ma trasformabili; le idee della libertà e del bene che coltiviamo, ci ispirano e proviamo a praticare, dipendono da ciascuna/o di noi ed inseparabilmente – per assonanza o divergenza – dalle collettività di cui siamo parte.

Cosa c’entra questo fantastico e variegato caos umano con le guerre ed altri disastri che devastano il mondo? Qual è il nesso originario tra la nostra medesima umanità cosciente e le tragedie planetarie che si susseguono? La stragrande maggioranza delle persone non c’entra nulla, o perlomeno pensa che sia così, ma forse qualche responsabilità l’abbiamo tutti: per esempio quella di non comprendere e trarre conseguenze attive contro le tragedie che ci affliggono. Perché ci sentiamo estranei ai mali che ci colpiscono eppure subiamo le sciagure che si susseguono, le temiamo e le rifiutiamo ma dovremmo riconoscere che si tratta di fatti disumanizzanti terribilmente umani, anche se il loro espandersi sempre più incontrollato, concatenato ed infinito è relativamente recente nella lunga storia della nostra specie.

Come mai d’altra parte le donne nella loro stragrande maggioranza rifiutano le guerre e affrontano con coraggio le disgrazie? Perché quando pensiamo a noi cerchiamo la serenità ma, anche se troviamo la tristezza, in sottofondo pulsa la speranza? Che cosa caratterizza le nostre relazioni se non la ricerca della felicità, della simpatia, del piacere, della collaborazione? E perché anche quando siamo in molti, e direttamente o indirettamente ci conosciamo, prevale la benevolenza, se non l’armonia, la cooperazione e non la competizione che invece ci affligge e ci infetta quando siamo troppi e troppo sconosciuti? Come vengono percepiti ed elaborati i lutti che colpiscono tanti nostri simili travolti dalle guerre? E in che rapporto stanno le piaghe di cui soffre l’umanità con le nostre culture di riferimento? Sappiamo delle nostre propensioni al bene, del nostro carattere morale ed etico, del desiderio di pace che anima la stragrande maggioranza delle persone: ma allora qual è il senso morale ed etico delle guerre, delle violenze, delle distruzioni che imperversano nel loro mondo?

Ritornare alla coscienza

Per provare a comprendere queste immense contraddizioni dobbiamo far ricorso alle nostre modalità di pensiero: non possiamo limitarci all’intuizione che sappiamo essere gemella dell’emozione, abbiamo bisogno di riflettere. Riflettiamo in primo luogo sul carattere intimo del nostro peculiare essere speciale e specifico: è la coscienza che abbiamo dell’interezza in fieri del nostro io. Detto in altri termini è quella che chiamiamo autocoscienza che diventa misura variabile delle nostre valutazioni e dei nostri giudizi. È una coscienza in perenne movimento e, come abbiamo cominciato ad esplorare, ha una condotta misteriosa che risulta contraddittoria e difficilmente spiegabile a noi stessi. Tornando all’ipotesi già citata di Bergson “…non riusciamo affatto a spiegarci le differenze d’intensità che noi stabiliamo tra i fatti psicologici profondi che emanano da noi e non più da una cosa esterna…”.1 Questo che può valere anche a proposito di una piccola vicenda, a maggior ragione vale per questioni di grande portata: in quest’ultimo caso le immagini o i racconti, per non parlare del vissuto, possono anche sgranarsi, sottaciuti o sminuiti dai media, o ancora essere sottoposti ad un’autocensura della memoria ma non perciò l’impatto diretto o indiretto sarà minore nella nostra rappresentazione coscienziale.

Pensiamo alle tragedie attualmente in atto e soprattutto all’infuriare bellico in terra di Palestina, ed in particolare nella striscia di Gaza, bagnata dallo stesso mare che bagna l’Italia. Che effetto ha sulle nostre coscienze una conoscenza anche solo superficiale delle notizie dei massacri perpetrati prima dalle bande reazionarie terroriste di Hamas contro la popolazione ebraica e poi, su assai più larga scala, dall’esercito dello Stato sionista che da decenni imperversa nella zona, vessando, minacciando e colpendo senza pietà il popolo palestinese mentre opprime la popolazione ebraica ed araba che ha deciso o è stata costretta a vivere in Israele? Non è difficile immaginarlo! Il dolore e la solidarietà del primo impatto ci causano un’emozione vivida che viene interiorizzata e diviene in qualche modo parte della nostra coscienza. La “cosa esterna” si fonde con i “fatti psicologici profondi” che ci connotano e suscitano un sussulto coscienziale che può avere interpretazioni diverse ed addirittura opposte a causa delle nostre conoscenze previe e delle nostre scelte più profonde, a loro volta dettate e custodite dalla nostra coscienza. Chi sa della storia tormentata del popolo palestinese e della prepotenza che da mezzo secolo esercita lo Stato d’Israele si schiererà con il primo, casomai dimenticando gli orrori perpetrati da Hamas o peggio giustificandoli senza chiedersi qual è la natura di questa formazione e da quali Stati ultrareazionari, controrivoluzionari e fascistoidi, come l’Iran e la Siria, viene sostenuta. Al tempo stesso chi la pensa così “dimentica” la terrificante persecuzione storica subita dai popoli ebraici – non identificabili tout court con lo Stato d’Israele – e la grave minaccia costante rappresentata dall’antisemitismo. Al contrario, anche chi parte da questa indispensabile visione storica può trascurare o sottovalutare l’enormità della responsabilità dello Stato sionista – aggravata dalla furia vendicativa del suo leader attuale, peraltro largamente screditato nel paese per le sue ruberie e per il tentativo di sancire per legge la sua impunità – e schierarsi fattualmente con il massacro in atto contro migliaia di donne, uomini innocenti e bambini palestinesi. Provare invece a considerare più in profondità, storica e prospettica, le vicende in atto può permetterci di schierarci con entrambi i popoli che ne vengono colpiti e contro gli Stati, gli eserciti e le bande armate che combattono ambedue per cause infami.

Possiamo comprendere che vicende così drammatiche hanno un effetto gigantesco ed estremamente contraddittorio, perché allo stesso tempo ci toccano e ci coinvolgono però non riguardano la natura primaria delle nostre coscienze, anzi le violano e ne deformano grandemente l’instabile equilibrio interno. Quello coscienziale è un laboratorio sempre aperto che ci invita ad interrogarci e a provare ad ordinare, se non a classificare, le dinamiche del nostro pensiero, a configurare e mutare il nostro io, a concepire in un certo modo gli altri, intesi come singoli e come collettività; ci guida verso quello che reputiamo giusto e benefico, ci suggerisce un’idea possibile di libertà. Impariamo a conoscere, a pensare e a pensarci innanzitutto in rapporto ed in funzione di tutto ciò che è, può essere ed è stato tipicamente umano e di conseguenza consideriamo gli altri ambiti naturali che ci circondano ed anche quelli più lontani. Non siamo predisposti a considerare e quindi a metabolizzare coscientemente ciò che ci appare completamente estraneo, stranamente sovrastante, ferocemente innaturale. Questo possiamo dedurre dalla storia della nostra evoluzione e crescita: per decine di millenni abbiamo provato ad adattarci all’ambiente e in una certa misura ad umanizzarlo, a convivere e a giovarci in vario modo delle specie vegetali, a domesticare altre specie animali, a tollerarle, rispettarle oppure cacciarle per difenderci ma anche per procacciarci cibo, vestiario, strumenti. L’attività della caccia rappresentò (e continua a rappresentare) una prima violazione dell’equilibrio naturale del vivente e comportò con ogni probabilità un primo scarto problematico nelle coscienze: la ricerca dell’armonia con e delle varie forme del vivente cominciava ad essere infranta. La capacità umana di esercitare violenza, sperimentata nella caccia, veniva applicata anche contro altri esseri umani, compiendo così un ulteriore salto nel buio coscienziale. Il lungo e sanguinoso incedere della disumanizzazione ha significato la sottomissione delle donne che da millenni venivano riconosciute come le prime protagoniste delle comunità2, e quindi l’invenzione dell’orrendo crimine della schiavitù. Piaghe inflitte da minoranze alla maggioranza dell’umanità che con la modernità e la contemporaneità non sono guarite né sparite, ma si sono anzi generalizzate in forme diverse e spesso camuffate.

Le pratiche umane sono inseparabili dalle dinamiche coscienziali che possono progredire meravigliosamente o regredire terribilmente a causa dello svolgersi delle nostre capacità mentali inseparabili dai messaggi che provengono dagli ambiti e dalle azioni del nostro incedere come specie.

I quattro fenomeni dell’apocalisse

Il succedersi delle diverse epoche, in vari modi a seconda delle zone del pianeta, nella Seconda era, ovvero negli ultimi 5.000 anni, hanno visto la crescita di quattro fenomeni macroscopici ulteriori che, per la loro portata e nelle loro combinazioni ed intrecci, hanno avuto ed hanno tuttora conseguenze sconvolgenti per le coscienze umane.

Innanzitutto c’è stato uno sviluppo eclatante delle aggregazioni umane. Solo per accennare ad alcuni esempi:attraverso passaggi differenti anche cruenti si è data la progressiva crescita delle polis greche con la benedizione di Aristotele e malgrado le fiere alternative della prima Stoa e dell’epicureismo; l’ingigantirsi dell’impero persiano prima che fosse sconfitto da Alessandro il macedone; il costante moltiplicarsi delle genti soggiogate dall’espansione del potere di Roma antica; sin da prima e nel mentre – attraverso il susseguirsi delle saggezze, cambi di dinastie sovente sanguinosi, mutamenti istituzionali e lotte intestine – si forgiava l’impero più longevo tuttora in vita. Fenomeni complessi e crescenti di una “civilizzazione” prepotente, spesso feroce e sempre ingiusta con i più deboli e gli sconfitti, che non liquidava l’esistenza e le vestigia delle comunità precedenti ma rappresentava una grave involuzione delle soggettività collettive. Infatti uno dei pregi fondamentali dell’essere una specie sociale consiste nella capacità di cooperare e di collaborare in molti, ma conoscendosi direttamente o indirettamente – e quindi potendo intendersi ed anche controllarsi a vicenda – che vuol dire anche non diventare troppi e sconosciuti. Questa virtù antropologica si è venuta progressivamente sminuendo, lasciando ai poteri oppressivi concentrati una capacità di dominio crescente ed incontrollata.

A loro volta questi ultimi facevano leva sulla massificazione per costringere e reclutare un sempre maggior numero di maschi adulti nei loro eserciti, dando luogo ad un secondo terribile fenomeno strettamente legato al primo: l’estendersi e l’aggravarsi, il concatenarsi e via via il cronicizzarsi delle guerre che nei tempi nostri dovrebbe apparire evidente all’osservatore attento, eppure viene spesso nascosto o mascherato. Parliamo di un fenomeno umano – ma è più preciso definirlo maschile, vista la refrattarietà femminile alla guerra – terribilmente nuovo, rispetto all’era precedente che, per le proporzioni che ha assunto e la violenza assoluta che sprigiona, ha depravato le capacità costruttive della collaborazione e cooperazione umana in capacità di odio e distruzione.

La Seconda era si è contraddistinta per l’affermarsi prepotente delle religioni di massa: le monoteistiche, cominciando dalle abramitiche nelle loro diverse varianti, ma anche, parallelamente o precedentemente, quelle frutto di antiche saggezze come il buddismo e ben diversamente il confucianesimo, o sopravvivenze politeiste non indifferenti come l’induismo. In particolare l’ebraismo, il cristianesimo e l’Islam nelle loro diverse e spesso conflittuali espressioni, hanno rappresentato e con contraddizioni, crisi e divisioni crescenti rappresentano tuttora un collante formidabile per le società di massa: l’estraneità concreta di vissuto tra le genti viene sostituita o “compensata” dalla comunione nella fede tramite riti e credenze condivise che spesso sospingono al conflitto. Infatti le religioni hanno sovente ispirato, benedetto e assessorato il dilagare del bellicismo sia esplicitamente – si pensi all’“in hoc signo vinces” di Costantino, alle guerre di religione come le crociate o la guerra santa islamica, fino ad arrivare all’imperialismo sionista – che implicitamente, come è evidente dal racconto e dettato biblico.

L’espansione delle religioni di massa ha influito in maniera determinante a creare il quarto fenomeno, consistente nella sovrastante rappresentazione ideologica ed alienata della realtà umana, la cui prima manifestazione esplicita è nei testi sacri: rammentiamo ancora il tremendo messaggio biblico che parla di 60 milioni di morti. Seguiranno, con l’avvento della modernità ed il trionfo apparentemente definitivo delle società di masse estranee: il moltiplicarsi delle ideologie sovrastanti ed alienanti spesso frutto delle cattive filosofie; il trionfo dell’istruzione statale, sia scolastica che universitaria, che diffonde il verbo delle società oppressive provando a nascondere la decadenza inarrestabile delle culture dominanti; il dilagare della comunicazione di massa, dove il verosimile o il falso si confondono con le verità relative che non di rado vengono occultate da quella che è una vera e propria “fabbrica di notizie”. Insomma una rappresentazione mistificata e mistificante della realtà umana che si aggrava ulteriormente con l’imperversare delle tecnologie “leggere” e l’incombere demenziale dell’“intelligenza” artificiale che attaccano le nostre capacità cognitive, emozionali e sentimentali, riflessive e coscienziali.

Questi quattro fenomeni apocalittici si combinano strettamente tra loro creando un circolo vizioso smisurato che grava sulle coscienze umane. La domanda che ci si pone urgente, seria, irrimandabile è: come reagiremo?

Siamo di fronte a contraffazioni sociali, esistenziali, ideologiche e culturali della realtà umana per come si è affermata lungo i millenni in tutto il pianeta. Un pianeta che appartiene a tutti a seconda di dove e come hanno deciso di abitarlo, conoscendosi tra simili più prossimi oppure diversi per le scelte compiute nell’ambito della comune umanità. L’idea di mondializzazione è un’aberrazione destinata a ridurre l’umanità ad una massa amorfa, anonima, soggetta alle oppressioni statali e padronali. Una massa di manovra per i loro interessi, dentro cui poter rastrellare ed istruire le reclute dedite all’uccidibilità e poter colpire e sterminare senza pietà le vittime designate, spesso ignare. Le società di masse anonime ed estranee sono adatte e finalizzate agli interessi statali e padronali, di vario tipo ma sempre più simili tra loro, per scatenare e condurre, accettare e subire le guerre di ogni tipo. Al di là del “grido di dolore” che può elevarsi dal Vaticano, le religioni tutte, cominciando da quella cristiana, hanno subito e quindi permesso l’accettazione del bellicismo permanente quando non lo sostengano apertamente, come è nel caso di un certo tipo di islamismo e di ebraismo; più generalmente hanno consacrato la massificazione indistinta tra le genti fornendo dei simboli sempre più poveri di contenuto che dovrebbero rappresentare la speranza umana di riscatto… extraterreno!? Le diverse confessioni consegnano alle genti un messaggio incomprensibile e ulteriormente inquietante per le coscienze già affannate.

Le rappresentazioni della contemporaneità decadente sono sempre più una mistificazione della realtà umana vissuta e vivibile, pensata e pensabile; una legittimazione dell’ammassarsi sociale dove tutto può accadere e la conoscenza diretta e positiva è sempre più difficile; uno sdoganamento e una normalizzazione delle guerre a cui ci si rischia di abituare, senza comprenderle, anche per ciò che accade nei quartieri, negli stadi, nelle famiglie patriarcali, nel web e nei videogiochi. Internet diviene a sua volta una religione che consacra il digitale e sconfessa l’analogico. Gli smartphone sono i nuovi vangeli dove tutto è già svelato e risolto, il prossimo è ridotto ad un’icona, la collettività ad una lista.

Quali sono le conseguenze, dirette ed indirette, per le nostre coscienze umiliate ed offese eppure vive e alla ricerca di una spiegazione semplicemente ed essenzialmente umana? Quali le potenzialità e le difficoltà per tante/i giovani che stanno prendendo coscienza e non sono sostenuti, e non lo sanno neppure perché nessuno gliene parla? Quale la postura senti/mentale di tante donne che intuiscono la loro superiorità umana speciale perché non implica l’inferiorità, ma non sanno come sprigionarla? Quale l’agitazione e la trepidazione di tante persone di sinistra, o potenzialmente tali, che credono e sperano nell’umanità, nella collettività riconoscibile e solidale, nell’accoglienza e nell’integrazione di fratelli e sorelle di altri luoghi, nella pacificazione e nel dialogo, nei valori e nella cultura per una vita migliore; ci credono e ci sperano ma non sanno come dargli corpo e seguito?

Proverò a fornire qualche ipotesi a riguardo nella prossima puntata, con una considerazione previa che vi sottopongo: è nel buio di quest’epoca dove comunque il loro mondo sta cambiando nel sangue, nella rovina, nella confusione che si apriranno squarci di luce per chi vuol vedere, sapere, cambiare, cercando la libertà ed il bene della nostra umanità.

Dario Renzi (18. continua)

1 Henri Bergson, Essai sur les données immédiates de la conscience, pag. 4, Presses Universitaires de France, Paris, 1961.

2 A proposito di alcuni tratti che possiamo ipotizzare della vita umana prima dell’era oppressiva, il nostro punto di vista è trattato da: Antonella Savio, Prima era. Grandi insegnamenti, Prospettiva Edizioni, 2023.