Antropologia della decadenza
Le prime radici e l’ultimo impero/3

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Il dramma bellico che stiamo vivendo si intreccia con il prosieguo della pandemia chiamando in causa e stressando le nostre migliori caratteristiche umane. La necessità di orientarsi è resa ancor più ardua da un’informazione in gran parte acriticamente schierata con l’arrangiato blocco degli Stati occidentali più o meno coerenti nell’assecondare il bellicismo radicale della Casa Bianca. L’invio costante e crescente di armi a Zelensky, le sanzioni a doppio taglio e la manifesta immobilità diplomatica internazionale, compresi i sornioni inviti di Pechino ad evitare l’escalation ed escluse le esternazioni aggressive di Biden, ovviamente prolungano la guerra infame voluta da Putin. Conviene rammentare sempre che i crimini perpetrati dalle truppe di invasione russa sono del tutto simili a quelli commessi ripetutamente dagli Usa in mezzo mondo, con la partecipazione o la collaborazione dei suoi alleati occidentali, così come è necessario considerare che non sono stati rispettati i patti sanciti illo tempore tra Washington e Mosca per contenere l’espansione della Nato e garantire la neutralità di alcuni paesi. Al contempo è doveroso sottolineare i legami commerciali a tutti i livelli – armamenti compresi – tra le potenze occidentali e quella russa del Vicino Oriente, con un volume d’affari che prosegue a guerra in corso suggerendoci qualcosa sul vero significato della globalizzazione. Ciò non giustifica in alcun modo l’aggressione russa ma non può essere silenziato. Così come non si deve tacere sulla clamorosa unilateralità del racconto sulla guerra: quello che fanno gli ucraini nelle battaglie viene descritto solo ed esclusivamente dai comunicati emessi da Kiev, la presenza di milizie ultranazionaliste o direttamente neonaziste che combattono con l’esercito ucraino viene sottaciuta, minimizzata o addirittura esaltata da qualche vecchio e impenitente seguace urlante di Berlusconi. Politici e giornalisti simpatizzanti del Cremlino non mancano a destra e persino in una certa “sinistra” che si voleva “alternativa”: per vigliaccheria ed ipocrisia tacciono oppure ostentano un’improbabile equidistanza, anche se non mancano uscite sguaiate o dichiarazioni di fedeltà alla democrazia atlantica. Ci sono poi complottisti mattacchioni o effettivamente filo-Putin che impazzano nei media agitando le acque ed aizzando i guerrafondai.

Sono pochi i giornalisti e gli osservatori che cercano di ragionare con cognizione di causa, ma anche in questi lodevoli casi spesso manca una visione globale più convincente e quindi la proposta di una risposta basata e praticabile sin da subito da parte della gente comune. Analisi giustificazioniste, duelli cartacei e litigi televisivi, aggravati dalla pletora di notizie contraddittorie, non verificate o decisamente fasulle che circolano sul web, politici in giro per il mondo in cerca di energie alternative in Paesi poco raccomandabili: tutto ciò non solo confonde ma contribuisce ad un disordine mentale e ad un pressapochismo etico pericoloso. La spettacolarizzazione della morte serve a gettare sconforto e a cercare un ancor più improbabile riparo nel privato, quando invece è più che mai necessario stare nella società affermando una logica diversa. Le nostre capacità di comprensione rischiano di essere offuscate dalla campagna ideologica che accompagna quella bellica, le nostre facoltà distorte o avvelenate mentre abbiamo enorme bisogno di discernimento, lucidità e profondità di pensiero. L’intelligenza emotiva è drammatica e sfuggente se non viene nutrita da una ragione d’assieme esercitata intorno a quanto accade, il giudizio e lo schieramento sono falsati se non vengono assistiti da una memoria forte e verace perlomeno di quanto avvenuto negli ultimi decenni, il sentimento d’amore per la vita – sempre più attuale – rischia di rattrappirsi e scadere nell’impotenza individualistica, l’immaginazione del futuro – mai come ora indispensabile – minaccia di essere oscurata dalle immagini della morte seriale, la coscienza profonda della nostra medesima umanità può vacillare sotto i colpi della tragedia bellica in atto che si combina con il serpeggiare del virus. Invece abbiamo bisogno di riattivare e migliorare le nostre qualità più profonde: ora è il momento di reagire ulteriormente proseguendo su un piano superiore ciò che abbiamo scelto per fronteggiare la pandemia, è il momento di asciugare le lacrime e rafforzare il nostro ingaggio per affermare una vita migliore. La prevalenza dilagante del male estremo può farci disperare nelle risorse fondamentali della ricerca del bene nostro e del nostro prossimo, può farci perdere la bussola morale ed etica. Eppure è di questo che hanno bisogno innanzitutto le bimbe e i bimbi ucraini e russi, palestinesi ed israeliani, siriani ed haitiani, africani ed yemeniti, cinesi e afghani e di tutto il mondo compresi quelle/i nordamericani che rischiano di venir privati persino della loro identità di genere. È sul loro futuro che si misura il nostro, perciò ora più che mai abbiamo bisogno di una visione d’assieme della nostra specie per interpretare ciò che accade e perché, per riconoscere e valutare protagoniste e protagonisti, per comprendere gli spazi di libertà da fondare, per orientarci verso la possibilità di una felicità possibile fronteggiando i mali che ci affliggono. È credibile e necessario, partendo da un chiaro presupposto: siamo contro la guerra per una logica di pacificazione. 

Essere contro la guerra e battersi in una logica di pacificazione al fianco del popolo (non del governo) ucraino e delle vittime anche russe vuol dire condanna implacabile dell’invasione voluta da Putin e contrarietà intransigente nei confronti di ogni forma di interventismo o sostegno in armamenti da parte dei governi occidentali, quello italiano in testa, che non fanno altro che alimentare il massacro. L’idea e la pratica di pacificazione, che può prendere le mosse dal basso e riguarda concretamente tutte le donne e gli uomini di buona volontà in ogni aspetto dell’esistenza quotidiana, è quanto di più concreto si possa fare assieme allo sforzo di promuovere momenti o, ancor meglio, aggregazioni unitarie stabili tra quelle forze di sinistra organizzate, nazionali e locali, di diverse estrazioni e convinzioni che lottano per la cessazione immediata della guerra e per una pace o un armistizio tra Russia ed Ucraina per salvare più vite possibili. Questo è un cammino credibile e realistico perché sappiamo ed affermiamo con chiarezza che una vera pace giusta, organica e duratura non è raggiungibile in nessun luogo del mondo finché esisterà il dominio degli Stati nati dalla guerra, preparati e votati a continuarla, come dimostrano i loro investimenti bellici costanti e crescenti e la violenza dilagante in tutti i campi delle società statali. Questa convinzione, purtroppo suffragata da millenni di conflitti dichiarati o nascosti su tutti i piani e in ogni dove, lungi dall’essere una dichiarazione di rassegnazione, è un invito all’impegno possibile per alimentare una diversa convivenza. 

Una propria visione dell’umanità

Provare a comprendere i tempi della nostra vita è qualcosa che appartiene diversamente ad ogni essere umano, ma ciò spesso viene trascurato o condizionato, se non addirittura soggiogato, dalle spiegazioni dominanti. Queste ripetono la propria storia, nascondendone le origini sanguinarie, dimenticando o giustificando il presente oppressivo ed edulcorando un avvenire minaccioso. Soprattutto i loro racconti prescindono o banalizzano la storia intima di noi esseri umani per giustificare il presente come il migliore dei mondi possibili e l’inevitabile destino che ci siamo meritati. Così tutto sembra che avvenga fatalmente e vada nella medesima direzione, cioè quella imposta dall’alto con violenza prepotente e costante, brutale e raffinata, implicita ed esplicita. Il corso degli eventi è presentato come ineludibile e predestinato, coerente con la loro concezione della natura umana. Paradossalmente per giustificare le loro malefatte passate, presenti e future usano, deformandone l’idea, quella stessa natura umana che oggi nei gorghi della loro decadenza alcuni padroni e i loro lacchè cercano addirittura di negare in nome di demenziali mistificazioni culturaliste. Così saremmo inevitabilmente vittime dei nostri “istinti” o delle nostre “pulsioni”, segnati da un inestinguibile “peccato originale” o semplicemente e drasticamente “nati per morire”. Come in una galleria degli orrori sfilano i loro pessimi maestri per farci la predica, indottrinarci ed ingannarci: Hobbes e Freud, Agostino e Lutero, Hegel ed Heidegger. Dottrine e pratiche di questo approccio disumanizzante della natura umana si propagano dall’alto in mille modi e influenzano le persone comuni alimentando prepotenza, cattiveria, malevolenza e maldicenza, incomprensione e violenza anche dal basso, cristallizzando le peggiori abitudini e diventando, per infiltrazione quotidiana, pensiero dominante diffuso che avvelena anche le donne e le nuove generazioni e persino bimbi e bimbe. Eppure tantissime azioni quotidiane emergono malgrado il silenzio colpevole delle news ufficiali e vanno in tutt’altro senso: le vediamo in diretta o le sentiamo filtrare in coda ad un Tg, trapelano in un episodio o si leggono tre le righe, ne siamo noi stessi protagonisti o le sentiamo raccontare da altre/i protagonisti. Sono le buone notizie provenienti da molte persone volenterose che ci squadernano un’altra storia ed un altro presente fatto di gentilezza e generosità, empatia positiva e simpatia, sincerità e bontà, accoglienza e benevolenza, ascolto e comprensione, soccorso ed assistenza. Come la mettiamo con la vulgata diffusa da chierici e gendarmi, istruttori e governanti? Ah, già! Siamo una specie contraddittoria! Come se questa vaghezza risolvesse la questione dell’indirizzo, dei trascorsi e delle potenzialità delle nostre esistenze. Certo che siamo anche contraddittori, ma quali sono le origini e i motivi di queste contraddizioni e soprattutto quali sono le motivazioni fondamentali che ci sospingono a vivere e a cercare il modo migliore per farlo? Che questa spinta al miglior vivere sia permanente ed universale non osano negarlo nemmeno i più feroci oppressori. Allora: che ipotesi possiamo fare sulla ricerca del bene e i suoi terribili inciampi? Com’è possibile che l’irresistibile, meravigliosa spinta alla vivibilità si rovesci e si corrompa nella devastante e prepotente controspinta all’uccidibilità? 

Quesiti di fondo che, contrariamente a quanto narrano le interessate fiabe horror della borghesia dominante, non riguardano solo gli accademici, gli scienziati e gli esperti politico-militari ma innanzitutto le persone comuni. Persone comuni che infatti in qualche modo se li pongono e si danno delle risposte che ovviamente risentono del peso delle ideologie statali e del flusso unilaterale e dilagante di brutte notizie. Tuttavia la domanda più interessante è: da cosa dipende questa proprietà di qualunque essere umano di farsi un’idea di quanto accade nel mondo e dei destini dei propri simili? Se tutto dipendesse dalle ideologie e dagli indottrinamenti statali, dalla fabbrica delle comunicazioni ufficiali, dalle falsificazioni di lor signori saremmo di fronte ad una completa assuefazione, gli individui subirebbero passivamente tutto ciò che viene propinato dall’alto. Invece, per quanto dilaghi, il conformismo non riesce ad averla vinta: le persone sono in relazione e in comunanza, parlano e ascoltano, soprattutto sentono, pensano e possono cambiare opinione. Perché abbiamo questa capacità, da cosa dipende? Evidentemente non semplicemente dalle informazioni che riceviamo dall’esterno e neppure solo dalle esperienze che conduciamo ma innanzitutto dalle predisposizioni intime che ci sono connaturate: cominciano ad attivarsi sin dalla nascita e crescono fino a culminare nella presa di coscienza; che a sua volta è suscettibile di mutare in virtù del rapporto con le altre e gli altri – più intenso nelle relazioni, più soffuso ma non meno importante nelle collettività. Cioè le nostre tensioni, facoltà ed intenzioni essenziali si attivano e si sviluppano in un processo soggettivo complesso e costante: gli altri contribuiscono a farci essere chi siamo come noi contribuiamo alla loro costituzione. È un comporsi continuo delle nostre individualità come dei nostri rapporti e delle collettività di cui siamo parte; talvolta può essere evidente, persino eclatante, ma normalmente è sottile, inavvertito a meno di soffermarvisi di proposito. Ma anche in questo caso tante cose che veniamo apprendendo e trasmettendo ci sfuggono, le lente metamorfosi del nostro pensiero profondo avvengono in un flusso permanente delle soggettività, che sono appunto soggettività agenti e pensanti individualmente, reciprocamente e comunemente. Pensiamo a come le parole e i discorsi pronunciati o ascoltati, il loro significato, il tono, la percezione degli stessi influiscono sulla configurazione della personalità di ciascuna/o inanellandosi non solo sul momento ma alla lunga. Il gioco degli sguardi, talvolta fugace, subito evidente oppure sottilmente misterioso, suggerente o deludente, alimenta l’idea di qualsiasi rapporto, abbozza o suggella il profilo dell’altra persona, la influenza a sua volta e ci dice ulteriormente di noi. Così gli odori nell’aria e i sapori di un cibo entrano a far parte del nostro bagaglio intellettuale. La nostra interezza tattile ci restituisce e ci dà consapevolezza della proprietà corporea inalienabile che ospita e determina a sua volta la nostra coscienza. Questa processualità di sensorialità facoltativa ha matrici, interlocutrici e maestre primarie nelle nostre madri, sia biologiche che non, avvia e permette quel processo di realizzazione che ci rende pienamente ed unicamente umani ciascuna/o, tutte e tutti.

Così fuse insieme: la primarietà femminile in atto e il costante tourbillon delle soggettività, il fiorire delle coscienze e le culture che ne derivano e le alimentano – in un modo o nell’altro – sono le radici del nostro essere e della nostra esistenza nel cui svolgimento veniamo scegliendo e precisando, perseguendo o perfezionando i nostri sentimenti e le nostre idee del bene e del male. Da queste origini concrete e vive, concernenti la specie tutta, possiamo e dobbiamo scegliere di partire e ricominciare per fronteggiare positivamente anche il dramma attuale, per comprendere il presente ed interpretarlo, per scrutare le possibilità di un futuro diverso, per saper leggere in chiaroscuro quel racconto di noi che chiamiamo storia.

Dario Renzi (3. continua)

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