da Gerusalemme a Gaza
La pulizia etnica israeliana riaccende il conflitto

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Di nuovo i cieli di Palestina/Israele sono solcati da centinaia di razzi: la maggior parte piombano su Gaza – hanno già provocato decine di vittime, tra cui bambini – ma anche su Israele, che conta anch’esso i primi morti. Alle vittime inermi e spesso innocenti, ai loro cari, va il primo pensiero, addolorato, solidale e indignato.

L’ennesima escalation è conseguenza diretta del nuovo capitolo nella storica pulizia etnica di Israele contro i palestinesi – questa volta a Gerusalemme Est – e del rifiuto dei giovani palestinesi di rassegnarsi a tale destino. Sin dalle origini, lo Stato israeliano fonda la propria esistenza su questa sorgente infinita di violenza, dolore e ingiustizia: l’espulsione sistematica della popolazione palestinese, assediata e soffocata a Gaza, vessata e discriminata nelle altre aree del paese, incalzata a Gerusalemme Est, esiliata nel mondo, determinata a vivere nonostante tutto. La parziale novità di queste ore è il coinvolgimento nelle proteste anche di palestinesi con passaporto israeliano – cittadini di serie B che la democrazia non ha saputo né voluto integrare –, l’estensione del conflitto nel cuore delle città israeliane.

La crisi attuale testimonia del fallimento storico di tutte le forme politiche (diplomatiche, politico-religiose, belliche) adottate nei decenni per risolvere o almeno contenere le contraddizioni più acute. Ormai da anni neanche più si parla di fantomatici “processi di pace” né di formule quali “due popoli, due Stati”. L’accelerazione bellica attuale testimonia anche l’incredibile cinismo delle leadership israeliane e palestinesi la cui legittimazione sembra scaturire solo dalla permanenza del conflitto e dal sangue versato – quello della propria comunità non meno di quello altrui. Nonostante i successi diplomatici (il reciproco riconoscimento con alcuni vicini Stati arabi), la democrazia israeliana non gode di buona salute ed è anzi nell’impasse: dopo quattro elezioni generali anticipate, non riesce a formare un governo e a rimuovere un premier – Netanyahu, inseguito da procedimenti penali per corruzione – paradossalmente divenuto il più longevo della sua storia. Rinfocolare il conflitto è sempre una “opzione accettabile” pur di restare in sella. Specularmente, Hamas può mantenere il controllo di Gaza solo proponendosi come leadership anche militare di una guerra che non potrà mai vincere, mentre in Cisgiordania l’Autorità palestinese affonda nella corruzione e nella complicità con l’occupante israeliano.

Sono credibili le speranze in una pace equa, di libertà e dignità per coloro che vivono in queste terre, speranze che animano esigue ma coraggiose minoranze nelle diverse comunità? È una strada molto lunga e difficile, colma delle macerie provocate dalle bombe, dalle illusioni e dagli inganni politici; è una strada possibile che comporta scelte umane radicali di autosuperamento, di riconoscimento reciproco e di accoglienza.