Di possibili alternative nello sfacelo socio-politico

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C’è qualcosa di strano nelle elezioni che si sono appena svolte e nel modo in cui sono commentate. Strano e significativo l’impressionismo superficiale che pervade gli osservatori e gran parte dell’opinione pubblica. Sfogliando i giornali, ascoltando i talk show e talvolta anche parlando con la gente comune sembra si tratti di una svolta epocale ma al tempo stesso non se ne spiegano affatto le radici reali e le prospettive possibili. 

Si racconta di uno stupefacente ribaltone per la vittoria delle destre quando in effetti sono decenni che, in un modo o nell’altro, prevalgono. Si paventa la minaccia del fascismo quando non ne esistono i presupposti di fondo e casomai bisognerebbe prendere in esame la possibilità di accenti autoritari, lesivi dei diritti, nella già contaminata democrazia italiana (vedi legge elettorale). Si enfatizza la batosta del Pd quando si tratta di un aggregato che confusamente ma regolarmente, da un decennio almeno, procede di sconfitta in sconfitta. Soprattutto si esalta l’irresistibile ascesa di Fratelli d’Italia che a ben guardare ha rastrellato soprattutto i voti degli altri raggruppamenti di destra. Da vari ambiti progressisti si paventano i pericoli rappresentati dalla Meloni che sicuramente ha posizioni regressive su vari aspetti ma sembra abbastanza intelligente da non forzare la mano in un quadro del paese già abbastanza difficile. 

Quali sono i punti di riferimento e quindi la prospettiva di queste analisi predominanti? Sembra a me che i fanatici della realtà aumentata a furia di vedere la superficie ci raccontino una realtà diminuita e distorta, mentre abbiamo bisogno di guardare anche a questo paese con criteri antropologici di fondo, non politologici di breve momento, per averne una visione approssimativa più autentica ed adatta a pensare ed agire in difesa di chi sta in basso.

La matematica viene in soccorso dell’umanesimo socialista: il totale dei voti espressi validi, considerando oltre le astensioni circa 800.000 mila tra schede nulle e bianche, scende al 61%; il raggruppamento che ha prevalso nella competizione elettorale rappresenta meno del 16% degli aventi diritto al voto, percentuale che si abbassa sensibilmente se teniamo in conto di coloro che non possono votare come le/i giovani dai diciotto anni in giù e tantissime persone immigrate prive di cittadinanza. Teniamo presente che secondo i dati ufficiali la percentuale delle donne elette è sceso dal 35% al 31%; non sono note le cifre concernenti i giovani (votanti, presenti nelle liste ed eletti) sotto i 35 anni, ma non è difficile presumere che siano irrisorie. Aggiungiamoci anche gli astrusi e mistificanti criteri elettorali che non rispettano affatto il rapporto tra voti espressi per una lista e numero di seggi ottenuti: siamo quindi di fronte ad una espressione deformata del “paese reale” ed assai poco significativa dell’ autentica realtà umana dinamica che viviamo. Di certo la forma e i contenuti politici, anche quelli democratici, non sono un affare per donne, giovani, immigrati e tanta gente comune in genere: è con i loro occhi e pensando ai loro interessi e possibilità che dobbiamo concepire nuove forme e contenuti per il presente, proiettandoci verso il futuro e traendo lezioni dal passato.

Umane possibilità nel sisma mondiale 

Sono in atto giganteschi mutamenti su scala mondiale. Riguardano il piano climatico, gli spostamenti e gli insediamenti umani, le attività lavorative, le necessità del nutrimento, la diffusione delle notizie, i rapporti tra le genti, le capacità cognitive. Gli assetti, già assai pericolosi, della contemporaneità emersi nel 1945 dal conflitto mondiale sono in discussione su tutti i piani: si ridefiniscono le strategie, le alleanze, i terreni e le modalità di confronto tra gli Stati. Una competizione feroce viene combattuta con ogni mezzo tra i diversi potentati, su tutti i piani: le guerre che continuano, ricominciano ma non finiscono ne sono l’espressione più drammatica ed evidente. La condizione umana nel suo assieme è chiamata in causa come collettività, come individualità, come relazionalità. Il genere femminile continua ad essere oppresso in diversi modi, l’infanzia è minacciata nelle sue possibilità di crescita, giovani donne ed uomini soffrono nella loro crescita coscienziale ed educativa, decine di milioni di persone animate dal desiderio di riscatto sono costrette ad emigrare dai paesi d’origine dove infuria la miseria e la violenza. Se e quando vengono accolti nuovi disagi li attendono.

L’evidente disordine delle potenze mondiali, in apparenza inesorabile, ci coinvolge e ci travolge, eppure il misterioso ordine antropologico non smette di sospingerci e darci la possibilità di capire, di sperare, di reagire.

 Il genere femminile continua silenziosamente ad esprimere la propria refrattarietà alla guerra e la sua avanguardia si ribella attivamente contro l’oppressione patriarcale, come in Iran e in altri luoghi. Sono espressioni di profonde capacità di comprensione e cura della vita.

 Le soggettività umane non smettono di cercarsi, comporsi e complicarsi senza posa malgrado molteplici ostacoli posti de iure e de facto dai poteri oppressivi. La propensione ad essere persone intere resiste alle correnti alienanti di vario tipo, il bisogno di essere in relazione scardina disordinatamente leggi ed altri impedimenti come l’interferenza tecnologica, la tensione ad essere assieme collettività è frenato o annacquato ma non impedito dal moloc statale.

L’esigenza primaria che ciascuno avverte di una propria visione d’assieme della vita e di sé stessi, ciò che chiamiamo coscienza non può essere abrogata, sebbene sia rallentata, mistificata o banalizzata in vario modo dalle istruzioni diffuse, osteggiata dalle ricette computerizzate. La coscienza resiste o si fa strada a fatica nelle nuove generazioni come risorsa fondamentale del poter e saper scegliere.

Si avverte sempre il bisogno di un equivalente generale per comunicare e comprendersi, per nutrire, esprimere e confrontare le coscienze, per rappresentare, progettare e prospettare la vita futura ricordando le origini: insomma la radicale esigenza culturale dell’umanità tutta rimane viva e palpitante seppur affannosa e parcellizzata perché subisce la decadenza inarrestabile delle culture dominanti e le perverse illusioni di una nuova cultura virtuale.

La ricerca della libertà e del bene, pur deviata o anche depravata dalle ideologie belliche e padronali, è parte costitutiva delle essenze umane che qualificano le esistenze e riguardano ogni esperienza scardinando le usurpazione tipo “intelligenza artificiale”. Diktat, leggi e precetti condizionano pericolosamente ma non possono liquidare la prospettiva valoriale in cui ogni essere umano proietta, progetta e pratica la propria vita assieme agli altri. 

Dalle possibilità alle capacità e alle scelte

Dunque, per accostarci più seriamente alla realtà vissuta, evitando di aumentarla o diminuirla e più in generale di mistificarla, dobbiamo scorgere le contrarietà autentiche tra possibilità umane radicate antropologicamente e misure oppressive, affermatesi con la violenza assoluta e l’inganno permanente, cristallizzate storicamente. 

La primarietà, e potenzialmente superiorità positiva, del genere femminile oltre a rappresentare una risorsa potenziale che può educare ed irrorare ciascuna di queste possibilità, sarebbe una formidabile base di partenza per un pacifismo attivo e diffuso che sappia contrastare le guerre permanenti aggravate da minacce ulteriori come l’uso del nucleare.

Le dinamiche inesauribili, circolari ed aperte, delle soggettività, se finalmente assunte, teorizzate e coltivate, potrebbero configurare una possibilità di affermazione ricca e nuova di ciascuna/o come persona, delle relazioni dirette libere e soddisfacenti, di collettività basate sulla conoscenza reciproca diretta e la capacità di decidere assieme evitando l’estraniazione sociale e la macchinazione social, l’imposizione di rapporti coatti, lo svilimento delle individualità; sperimentando inoltre la convivenza pacifica contro ogni logica violenta e bellicista.

L’anelito coscienziale se adeguatamente sollecitato potrebbe fiorire alimentando le capacità conoscitive, elettive e propositive in primis di tante e tanti giovani contrarrestando l’istruzione freddamente imposta , dallo Stato o privatamente, e la crescente invasività delle tecnologie che impoverisce il pensiero affermativo, positivo e critico.

Il riconoscimento e l’assunzione dell’importanza della cultura, intesa sia come recupero e riscatto delle migliori acquisizioni del passato – tanto della cultura di provenienza quanto di altre –, sia come intreccio e contaminazione feconda dei saperi e delle discipline, porterebbe ad una crescita della creatività e potrebbe dar luogo all’innovazione e alla creazione di culture umaniste vitali e differenti, in perenne dialettica tra loro, infrangendo la cappa asfissiante delle culture dominanti, obsolete e decrepite, e contrasterebbe la minaccia crescente di quella sorta di ciarpame pseudo-culturale che si insinua con il global-web.

L’assunzione coraggiosa ed esplicita della centralità della questione morale ed etica, concepita come decisivo motivo di liberazione e ridefinizione complessiva dei beni comuni, potrebbe rappresentare il ri/sorgere di correnti e formazioni organizzate non solo per processi di emancipazione futuribile ma immediatamente sperimentabili in fraterno confronto tra loro, cominciando così ad infrangere il dominio asfissiante dei dogmi padronali, statali e chiesastici. 

Appare evidente un legame profondo tra queste potenzialità radicali della nostra umanità e si può percepire anche il loro pulsare sotterraneo. Possiamo ritrovare il motivo unificante nelle nostre tensioni più profonde: biofile, altruistiche, astraenti, trascendenti, pre-coscienti. Le riconosciamo trasversalmente nelle nostre facoltà ed intravederle più concretamente nelle nostre intenzioni: siamo portati ad idealizzare, tendenti a crescere con le altre e gli altri, destinati a sviluppare sentimenti, propensi a trasformare la realtà ed anche ad autotrasformarci.

Stiamo ragionando su delle possibilità, di cui troviamo tracce concrete nel mondo, in questo paese, dentro di noi, eppure sappiamo e forse siamo eccessivamente condizionati da quanto e come sono contrarrestate dai poteri oppressivi dominanti e dal senso comune. Dunque dobbiamo sottolineare che una possibilità potenziale, basata antropologicamente, non è ancora una possibilità in atto e non significa automaticamente la nostra capacità di realizzarla. Le circostanze possono sospingerci o addirittura aiutarci ma non sono sufficienti a dispiegare pienamente le possibilità umane, quindi non dovremmo limitarci ad aspettare il momento opportuno o fare il calcolo delle probabilità che è cosa ben diversi dall’essere protagonisti di una possibilità. Nemmeno possiamo credere che tutto si risolva in un gesto, in una decisione emotiva repentina qual’è evidentemente esprimere un voto su una scheda. Si tratta di considerare, vagliare ed eventualmente operare una scelta cosciente e di prospettiva che chiama in causa la nostra interezza, di sperimentarla compiendola senza ultimatismi e provando a saperne ed incarnarne il carattere in primis affermativo e positivo di cui la negazione dell’oppressione esistente è conseguenza non causa.

Dal tramonto all’alba

La crisi della politica diviene sempre più esplicita nelle due varianti fondamentali del dominio oppressivo. Gli stati dittatoriali o autoritari per mantenere il consenso devono aumentare costantemente la repressione sui propri sudditi, provando a nascondere verità elementari mentre si rifanno a modelli culturali obsoleti annichilendo le popolazioni e predisponendole a rivolte o rivoluzioni. Gli Stati democratici cercano il coinvolgimento della gente comune con concessioni sempre più formali, alimentando un relativismo selvaggio che si combina con la decadenza accelerata delle culture di riferimento: ne consegue una frammentazione delle popolazioni sottomesse attraversata da sommovimenti scomposti, dalla violenza crescente e da una crisi valoriale senza precedenti. Entrambi i modelli sono accomunate dalla crescita costante del carattere bellico e repressivo del potere e dalla prepotenza delle aristocrazie economiche monopolistiche. Emergono commistioni tra le due forme e potrebbero crescere a causa delle crisi politiche che sono diretta conseguenza, e causa ulteriore, della tendenza all’implosione del gigantismo sociale che non riesce a gestire la naturale multietnicità della nostra specie.

L’Italia è un caso archetipico della decadenza democratica che ha coinvolto innanzitutto le sinistre tutte figlie di una concezione politica giacobina in alcuni casi aggravata dallo stalinismo. Nel volgere di pochi decenni è cambiato completamente lo scenario che sembrava assestarsi nel dopoguerra. L’aspetto che più ci interessa riguarda l’ormai definitivo tramonto della sinistra storica caratterizzata particolarmente dal Pci, che oggi viene spesso raccontato e rimpianto come una sorta di straordinaria creatura. In realtà si trattava di un gigantesco moloc burocratico, intriso di stalinismo all’italiana – ovvero il togliattismo – che seppe frenare o reprimere le tendenze più radicali contribuendo a depotenziare la spinta delle ascese operaie e studentesche della fine degli anni ’60. Così come le organizzazioni che in quel periodo sbucarono alla sua sinistra con proclami rivoluzionari, soggiogate dall’ideologia maoista (variante cinese dello stalinismo compatibile con la concezione imperiale) declinata all’italiana con improbabili pennellate a seconda dei casi spontaneiste, operaiste, trotskiste o togliattiane, si sbriciolarono nel giro di un decennio. 

Resta da scrivere un bilancio organico di quelle vicende eppure qualche lezione fondamentale è indispensabile già trarne oggi quando appare manifesto, anche attraverso lo specchio distorto delle elezioni, il fatto che una sinistra come la si era vissuta o immaginata nella storia recente non esiste più e non ha possibilità di rinascere. 

Eppure urgono inquietudini, domande e volontà di cambiamento che riguardano tante persone con storie, provenienze e possibilità diverse. Giovani alla ricerca del proprio futuro, donne ingaggiate in difesa della propria libertà, fratelli e sorelle immigrati animati da speranze di riscatto, lavoratrici e lavoratori che guardano alla loro vita al di là delle sacrosante rivendicazioni sindacali. Insomma persone comuni che avvertono l’urgere delle proprie radici antropologiche ma non trovano uno sbocco.

Di più: esiste una sinistra diffusa e frastagliata, più o meno organizzata localmente o parzialmente, casomai concentrata su obiettivi specifici importanti ma non risolventi. Una sinistra plurale e variegata che ha tutto l’interesse a costruire un’alleanza solidale per poter far valere le proprie rivendicazioni contro l’arroganza padronale e delle destre, ma evidentemente anche questa prospettiva per cui ci impegneremo non basta. 

La questione cruciale che può permettere l’alba di una sinistra rinnovata e composita, più solida e radicata, capace di progettare e cominciare a vivere un futuro migliore riguarda le basi culturali che è capace di darsi. Dedicarsi unicamente alle lotte o al lavoro sindacale, affidarsi solo alla propaganda, fermarsi alle situazioni e alle valutazioni contingenti, chiudersi nelle situazioni locali: sono tutti atteggiamenti comprensibili ed utili ma rimangono largamente insufficienti.

Per basi culturali è da intendersi la fondazione una propria visione antropologica, biologica e cognitiva, psicologica e pedagogica, storica e filosofica, quindi logica e teoretica( includente l’approccio analitico e pragmatico) che possa comprendere le vicende umane e fornire risposte adeguate in chiave di riscatto complessivo, che sappia basare ipotesi metodologiche, programmatiche ed organizzative in una prospettiva emancipatoria credibile sin da subito, sfidando positivamente la decadenza in atto, provando a stare in questa società essendo diversi e fornendo possibilità migliori di vita assieme.

La nostra corrente umanista socialista opera già in questo senso in stretta e rinnovata collaborazione con l’organizzazione de La Comune, al tempo stesso la volontà e l’ambizione che deve animarci è rivolgerci alle tante e ai tanti che sospinti dalle migliori intenzioni possono imboccare un proprio cammino fondativo indispensabile. La fondazione culturale seriamente intesa può dar corpo ad una pluralità di intenti capaci di confrontarsi, collaborare, dialogare, e possibilmente allearsi. 

Come sempre: l’alba di un nuovo destino può cominciare dalla visione di fondo che si ha della propria ed altrui umanità.