Il sangue sui Mondiali

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Dopo i recenti risultati e gli ancor più recenti sorteggi, l’Italia del pallone è in trepidazione.
Per la seconda volta consecutiva rischia di restare fuori dai mondiali che si svolgeranno fra un anno esatto in Qatar. Tutti – federazione, calciatori, stampa e tifosi – ci vogliono andare. Ma chi c’è già vorrebbe fuggirne. Infatti la preparazione dei mondiali qatarioti sta costando un tributo di vite umane enorme per i lavoratori che sono impegnati nella costruzione degli stadi. Sono, la quasi totalità, immigrati dal sub continente indiano o dall’Africa che lavorano in cantieri aperti 24 ore al giorno, per 80 centesimi di euro l’ora, con temperature altissime, turni massacranti e ritmi insostenibili. Amnesty international, ormai 6 mesi fa, denunciava la morte di oltre 6500 lavoratori a causa dell’ipersfruttamento.
Una situazione crudele e inumana a cui gli operai sono sottoposti e a cui, come si diceva, non possono sottrarsi, perché spesso sono arrivati nel paese illegalmente e sono tenuti sotto il ricatto economico e legale di un caporalato criminale, connivente con gli emiri che governano il paese e che hanno voluto ad ogni costo – anche grazie a corruzione e
petrodollari – il mondiale nel loro paese. Tanti stanno dicendo che il calcio è morto, quasi nessuno ha il coraggio di dire che uccide.