Iran: prima le donne e gli uomini, poi Internet

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Pochi secondi di verità, interrompendo la propaganda di regime. Nel bel mezzo del notiziario della tv di Stato iraniana un ignoto gruppo di hacker ha trasmesso una serie di immagini delle rivolte della gente comune dell’ultimo periodo, con un testo in sovrimpressione che invitava ad unirsi alle mobilitazioni, denunciando la “Guida suprema” Khamenei come assassino.
È stato un atto significativo, certamente irritante per il feroce regime teocratico di Teheran, ma che va compreso bene. Infatti, specialmente nell’Occidente cyberottimista, prono al nuovo potere tecnocratico dei padroni del web, si celebra questo gesto – insieme ad altri: basti pensare agli attacchi di Anonymous all’Isis – come emblematico del ruolo potenzialmente progressivo delle nuove tecnologie digitali. Ma ci si dimentica, quasi sempre, il presupposto fondamentale: non è da Internet che arriva la forza delle mobilitazioni, non è con Twitter, Facebook, Whatsapp o Instagram (peraltro adesso già bloccati in Iran della censura di regime) né con la perizia informatica di pochi smanettoni, che le stesse mobilitazioni sorgono, crescono e si diffondono. È sempre per il coraggio e la determinazione, per la voglia di libertà e la dignità delle donne iraniane, delle e dei giovani studenti, delle lavoratrici e dei lavoratori che si originano le rivolte, che il regime vacilla ed è costretto a reprimere, che la gente scende nelle piazze e nelle strade.
Insomma non è Internet che dà forza alle mobilitazioni, ma la ricerca umana di un futuro migliore che a volte se ne può servire, ma – sarebbe meglio! – sempre e comunque con accortezza e senza illusioni, perché il web è certamente uno degli strumenti preferiti dei poteri oppressivi che lo utilizzano per i loro sporchi scopi contro la gente. Anche in Iran.