La metafora della politica decadente

Print Friendly, PDF & Email

Il governo Draghi è la nuova tappa del disfacimento della politica come l’abbiamo conosciuta. Una politica incapace di eseguire efficacemente gli ordini che vengono dall’alto e di rappresentare con un minimo di coerenza le istanze che vengono dal basso. Parlamento e partiti non sono mai stati davvero autoconsistenti ma ora appaiono del tutto inconsistenti. Già il primo governo Conte aveva impressionato per essere frutto di mera brama di potere, mettendo insieme due creature abbastanza incongrue ed inquietanti, che pretendevano di essere reciprocamente alternative come il M5s e la Lega. Dopo qualche rigurgito pesantemente razzista e una serie di misure clamorosamente inutili o dannose, vedi reddito di cittadinanza, il mostro a due teste è stato abbattuto dal Truce senza un vero perché.

Poi è stata la volta di quello che sul momento sembrava il meno peggio, soprattutto grazie alla determinazione occasionale dell’avvocato del popolo: così nasceva un’altra macedonia indigeribile di cinque stelle in perenne crisi di identità e quel 20% e passa di vuoto progettuale che è il Pd. Il Conte 2 ha provato a fare qualcosa contro la pandemia, mentre non mutava in sostanza l’atteggiamento disumano verso gli immigrati. Ci siamo accorti così che il meno peggio… è peggio. Il tavolo è stato rovesciato dallo stesso che lo aveva imbandito. Un po’ a caccia di visibilità un po’ frustrato Matteo Renzi ha di nuovo fatto ciò che gli riesce meglio: rendersi inviso a tutti.

A questo punto è rapidamente maturata la soluzione Draghi, certamente preparata dal mite Mattarella con il prode banchiere. La crisi sin dall’inizio ha visto la totale assenza dei diversi partiti parlamentari. Con l’eccezione di FdI si sono tutti mostrati capaci di giravolte spericolate, appalesando la strafottenza verso l’elettorato e l’evanescenza dei programmi. Una giostra così non si era mai vista: il Truce si finge europeista, sotto la guida del castigamatti il partito del vaffa scopre la responsabilità istituzionale, Leu quelli che noi mai con la Lega però questa volta… Il Pd fa il Pd: cioè nulla.

Allora il banchiere educato alla scuola di Loyola, uomo di Stato con origini liberal-socialiste, gioca con intelligenza la sua partita. Sfrutta appieno la vacuità di ogni e ciascun partito, muove agilmente ed abilmente le pedine: lascia al loro posto i personaggi più accomodanti del vecchio governo – dal fido atlantista Guerini al ripulito Di Maio – garantendo per ora la continuità rigorista ed incoerente alla “salute” con Speranza; piazza Giorgetti, il più moderato leghista, allo sviluppo, recluta i forzisti più inquieti verso Berlusconi come Brunetta e Carfagna, accontenta un po’ tutti investendo figure più o meno “competenti” ed apparentemente non in grado di nuocergli. Insomma configura un’union sacrée che più light non si poteva. Soprattutto però infila in posti chiave dei “tecnici”, legati a lui, del calibro di Cingolani e Colao, già capo mondiale di Vodafone, con l’esplicito intento di “digitalizzare lo Stato”. L’intento non sembra solo quello di eleggere il prossimo presidente della repubblica e di arrivare alle elezioni con relativa tranquillità; traspare sottesa un’inquietante ambizione tecnologico-industrialista che va al di là dell’utilizzo dei fondi europei. Non è affatto detto che ci riesca, perché la litigiosità senza costrutto dei partiti al tramonto per il momento è solo sopita. Una linea europeista verso gli immigrati non è certamente umanitaria; c’è da preoccuparsi per le misure che verranno prese nei confronti di lavoratrici/tori e disoccupati (a proposito: visto che svolta quella di Landini, il Guevara della contrattazione articolata?); saranno da valutare le decisioni a proposito dell’istruzione; è possibile, ed eccezionalmente persino auspicabile, che il nuovo governo faccia qualcosa di serio contro il virus perlomeno garantendo vaccinazioni sicure e rapide. Quello che nasce dovrebbe essere un governo di transizione, ma per la profondità della crisi in atto, per sua stessa natura, composizione ed azione potrebbe avere conseguenze più durature ed imprevedibili.

Come reagirà la gente comune a questa nuova compagine che probabilmente godrà di una maggioranza parlamentare mai vista? È probabile che gran parte degli indifferenti ne vengano tranquillizzati sul momento per il carisma di cui gode e le speranze che può suscitare Draghi, personalità complessa da non sottovalutare. I settori più retrivi, o incattiviti dall’anno trascorso, potranno vedere ancor di più nella Meloni un punto di riferimento di tipo nazionalista se non sovranista, così come altri strati di gente comune sbandata potrebbe cercare una sponda nel movimentismo reazionario del Di Battista con i suoi transfughi dal M5s, casomai aizzati dal Fatto Quotidiano. Soprattutto come reagiranno i volenterosi? Anche in questo caso è possibile che ci siano aspettative ingenue, casomai dettate proprio dalle promesse governative di innovazioni tecnologiche ed ambientaliste; o un attendismo scettico frutto dalle ormai costanti delusioni provocate dalle varie compagini che si sono susseguite alla guida del paese.

È evidente che dovremo attendere i primi passi del nuovo governo per farcene un’idea più precisa, ma alcuni motivi e una lezione di fondo a cui rimanda sono già chiari ed è utile precisarli.

In primo luogo lo scollamento tra i “rappresentanti” e i “rappresentati” che non è mai stato così profondo ed evidente: potranno cercare di lenirlo o mascherarlo ma non riusciranno a colmarlo. La gente comune, con atteggiamenti diversi ed anche contraddittori, è distante dalle istituzioni e ne intuisce l’estraneità senza volere o saper reagire.

In secondo luogo il disvelarsi dei caratteri più autentici, multipli e combinati, del potere dietro la maschera cadente della politica. La violenza permea tutti gli aspetti dell’oppressione statale, cominciando dal suo atto fondativo bellico soggiacente e permanente: si appalesa nelle varie forme di maschilismo, nella costrizione e nella repressione, nei rapporti di lavoro, nel disprezzo dei più deboli, nel carattere escludente della cittadinanza che genera razzismo e xenofobia. L’ingordigia inarrestabile dei poteri economici, in tutte le sue forme, che allarga costantemente il baratro tra ricchezza e povertà su scala mondiale e via via diversamente nelle varie aree geografiche ed in ogni paese. La macchinazione tecnologica che invade e condiziona silenziosamente e crescentemente tutte le età e tutti gli aspetti della vita in modi subdoli, e peggio simulando un protagonismo degli utenti in realtà considerati numeri e dati da rivendere. Carattere quest’ultimo largamente e colpevolmente sottovalutato.

In terzo luogo le conseguenze esistenziali e non solo che possono essere sintetizzate in una parola: disumanizzazione. Più che mai si sta rivelando in questa pandemia e nell’impreparazione degli Stati del padronato e della loro Scienza subalterna a tutelare i propri sudditi. È sin troppo evidente il peggioramento delle condizioni materiali di gran parte delle popolazioni e in specie degli strati più indigenti. I giovani vivono una crisi di fiducia nel futuro senza precedenti. Le donne sono attaccate nella loro stessa identità di genere. Le/gli immigrate/i da varie zone del mondo verso i paesi più ricchi sottoposti ad ogni tipo di vessazione e di esclusione sociale. La conoscenza e i rapporti tra le persone in generale tendono ad essere sempre più spesso difficili e superficiali, si rompono o si incattiviscono a causa dei veleni diffusi nelle società statali anche on-line. Le capacità cognitive e riflessive sono compromesse dalla digitalizzazione selvaggia con conseguenze che in prospettiva possono risultare devastanti dal punto di vista fisico e (senti)mentale.

La condizione umana, che così appare fosca e senza vie d’uscita, non può però essere separata dalle qualità umane più profonde, largamente trascurate se non ignorate dai poteri esistenti. Invece in queste qualità abitano autentiche speranze e possibilità di un futuro migliore e diverso.

Queste considerazioni generali sono intrinsecamente legate anche alla nascita del governo Draghi; la crisi da cui è sorto, il modo in cui è stato concepito rimandano direttamente e rendono ancor più attuale una riflessione di fondo. Non ci sono soluzioni positive rapide né facili ad una situazione così complessa. Si potrà e si dovrà protestare ed eventualmente lottare contro le misure che il governo prenderà, ma ciò non sarà risolvente dei problemi di fondo che ci affliggono.

Pensare e fondare delle ipotesi davvero alternative credibili e praticabili passa necessariamente per la scoperta della nostra umanità migliore, per la ricostruzione delle soggettività individuali, relazionali e comuni, per la ridefinizione di una prospettiva valoriale e culturale nuova di cui essere creatrici/ori e protagoniste/i in prima persona.

La loro ennesima mossa di prepotenza proprietaria può insegnarci a muoverci in un’altra prospettiva.

13 febbraio 2021        Dario Renzi, Renato Scarola 

Scarica l’articolo impaginato