Myanmar
Un conflitto silenziato

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Tre anni dopo il colpo di stato, la popolazione soffre e resiste. Nonostante la durissima repressione scatenata dall’esercito, negli ultimi mesi esso ha perso il controllo di ampie fette di territorio a causa dell’offensiva combinata delle guerriglie separatiste e dell’opposizione democratica. Il Myanmar – la Birmania dell’epoca coloniale britannica – è un paese di oltre 50 milioni di abitanti che compongono un ricco mosaico etnico-linguistico e religioso segnato da discriminazioni contro le minoranze e da decennali lotte di autodeterminazione. La sete di libertà e le coraggiose mobilitazioni popolari (a più riprese soffocate nel sangue) avevano costretto la giunta militare ad alcune concessioni ma la breve parentesi democratica guidata da Aung San Suu Kyi non ha infranto i tradizionali assetti di potere: al governo dal 2016 al 2021, la premio Nobel per la pace è stata in parte ostaggio e in parte complice dei generali, avallandone la politica di massacri ed espulsione della popolazione di etnia rohingya e religione musulmana. Dal punto di vista della vita e delle speranze della gente comune e, tra queste, di quelle che sono storicamente le più oppresse e discriminate, il verdetto è senza appello: in Myanmar il fallimento sia della dittatura militare che della politica democratica è totale. Il risultato è una situazione sempre più drammatica: l’esercito utilizza gli aerei e l’artiglieria pesante per bombardare le aree di cui sta comunque perdendo il controllo; gli sfollati interni sono oltre 2,6 milioni; la popolazione rohingya, riparata nel vicino Bangladesh, vive da anni in miserrimi campi profughi; ampie fasce di popolazione soffrono per la difficoltà di approvvigionamento di cibo e acqua potabile. Sia tra i profughi oltre confine che tra gli sfollati interni l’unico aiuto arriva dalle associazioni e dalle persone solidali. Dal canto loro, i principali attori internazionali – Stati Uniti e Cina, ma anche Russia e India – sembrano disponibili a intervenire solo per la contingente difesa dei propri interessi, tutti assai preoccupati degli effetti incontrollabili di una ennesima crisi.