Nagorno-Karabakh
Tacciono le armi, fuggono gli armeni

Dopo settimane di guerra e centinaia di vittime, Armenia e Azerbaijan hanno firmato una tregua, arbitro Mosca, che ha il sapore di una resa incondizionata della prima nei confronti dell’aggressività della seconda.

Il Nagorno-Karabakh è costretto a cedere a Baku i territori azeri conquistati nella guerra degli anni Novanta e circa il 20% del proprio territorio. La Russia – storica potenza egemone nel Caucaso – deve garantire il cessate il fuoco e l’agibilità dei corridoi che permettono la continuità territoriale delle due enclave con la rispettiva madrepatria: del Nagorno-Karabakh con l’Armenia e del Nakhchvan con l’Azerbaijan.

L’ennesimo capitolo di una vicenda lunga e dolorosa si conclude con un accordo che già minaccia ulteriori esplosioni belliche. All’origine vi è l’aspirazione e il diritto all’autodeterminazione del popolo armeno, vittima di un genocidio compiuto dall’impero turco all’inizio del XX secolo; proprio l’intervento di Ankara al fianco dell’Azerbaijan è la novità più inquietante di queste settimane.

A Erevan, capitale armena, centinaia di persone hanno contestato l’accordo firmato dal presidente Pashiyan, giudicato una vera e propria capitolazione. Intanto, dopo aver seppellito i morti, decine di migliaia di armeni lasciano le proprie case e riprendono la via dell’esilio. Le loro legittime aspirazioni all’autodeterminazione e a vivere in pace sulla propria terra sono ancora una volta colpite dal nazionalismo reazionario azero e dall’espansionismo genocida turco; esse non troveranno soddisfazione duratura e neanche un baluardo credibile confidando nella propria direzione nazionalista ed in una soluzione politico-militare.