L’unica “razza” è quella umana

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“Bianchi”: per questo non ritenuti in grado di tradurre l’opera di una poetessa afroamericana.
“Non potete capire l’oppressione dei ‘neri’”: parole rivolte a partecipanti “bianchi” ad una manifestazione antirazzista.
“Conflitto razziale” e “giustizia razziale”: spesso si legge nei giornali e si ascolta nei notiziari.
Senza “distinzione di razza”, è scritto nelle Costituzioni statunitense e italiana.

La “razza” continua ad essere tra noi. È un grave pericolo.
Nella nostra natura
Cominciamo da ciò che è per noi naturale come specie umana, come persone, da ciò che è nelle nostre propensioni: sentire, vivere, sperimentare che siamo tutti umani e differenti, insomma che esistiamo come comune umanità differente. Avviene all’origine di ciascuno: bimbi e bimbe si incontrano senza pregiudizi, prima di essere “istruiti” da istituzioni statali e magari anche da famiglie poco accoglienti. È avvenuto all’origine dell’umanità stessa: l’ipotesi più credibile, suffragata da tante evidenze storiche è che siamo emersi come specie grazie alla collaborazione e alla cooperazione, con un ruolo decisivo del genere femminile. Avviene costantemente quando ci affermiamo positivamente come persone, proprio grazie all’essere insieme, non escludenti e nessuna/o esclusa/o. Sin qui, non c’è traccia delle “razze” né del razzismo. Tantomeno nella buona scienza, quella che ha finalmente stabilito inequivocabilmente che le “razze” sono una falsità.

Certo, abbiamo anche una difficoltà. Infatti, è insito, connaturato al nostro essere umani differenziarci non solo in alcuni tratti biologici (come le fattezze, l’altezza, etc.) ma in tante cose, pressoché tutte, della vita quotidiana, dalle lingue che parliamo a ciò che mangiamo e come. In breve: ci differenziamo (e ci accomuniamo) culturalmente dando così anche luogo a comunità e gruppi – fra cui le diverse etnie che esistono – con proprie connotazioni. La nostra difficoltà coscienziale è quella di capire e assumere la combinazione permanente tra l’unitarietà della nostra specie e la sua differenziazione. Talvolta è più facile cogliere le diversità e spropositarle, cadendo nell’etnocentrismo quando ciò è esorbitante ed escludente; in altre si può assolutizzare l’unitarietà, rischiando di non rispettare le diversità e di ostacolare la convivenza. Ciò mina un sano sviluppo individuale e collettivo. È successo e succede nella vicenda umana.


Poteri contronatura
Questi limiti hanno connotato la vicenda umana, ma il panorama è drammaticamente cambiato con l’imporsi di poteri negativi incarnati in primis da Stati oppressivi e guerreschi supportati da ideologie ad essi funzionali. Così il dominio delle minoranze sulle maggioranze si è imposto miscelando un’esorbitante quota di violenza con la ricerca del consenso, sancendo distinzioni tra persone e gruppi su presunte basi biologiche e differenze culturali per giustificare gerarchie, dominio e sottomissione, guerre e conflitti. Dall’etnocentrismo si è quindi passati, da un certo punto della vicenda umana in poi, alle attitudini direttamente razziste. Le imprese coloniali europee iniziate circa cinque secoli fa sono state la fucina di ulteriori idee funzionali alla giustificazione della riduzione in schiavitù e della deportazione di africane/i, anche grazie alle complicità locali, e a gerarchizzare le società delle colonie in nome delle differenze etniche e culturali. Sono state elaborate complesse classificazioni di caste sulla base della presunta “quota di sangue” spagnolo o portoghese presente in ciascun individuo. Questa storia di orrori si concentra e si approfondisce ulteriormente nel XIX e nel XX secolo con teorizzazioni e sistematizzazioni di un vero e proprio razzismo organico, che ha avuto una terribile sintesi nell’antisemitismo. Tante accademie e tanti scienziati si sono adoperati nell’invenzione di presunte basi biologiche o culturali (e talvolta di entrambi) per identificare gruppi umani “inferiori” destinati a essere dominati.

Tutto ciò ha raggiunto la propria acme disumanizzante nel nazismo, con l’identificazione di “subumani” e l’intento di genocidio degli ebrei e di tutti i “diversi”.

Ma la sconfitta del Reich non ha messo fine a questo flagello: dal dopoguerra, con la costruzione del sistema democratico globale a dominanza statunitense, il razzismo ha indossato anche l’ingannevole abito democratico. È cioè continuato sia nel dettato e nella pratica istituzionale degli apparati statali (basti vedere il riferimento alle “razze” nelle Costituzioni sopra richiamate) che nelle società, dove lo si è lasciato proliferare. Tutto ciò è avvenuto in nome del proclamato rifiuto delle discriminazioni (denominate invariabilmente come “di razza”, quindi ribadendo questa falsità), e/o convivendo con esse. Ad esempio, nell’America democratica gli afroamericani sono stati segregati e linciati.; in altre aree del pianeta si sono verificati l’apartheid sudafricano e il perdurare dell’iperrazzista struttura delle caste nell’India democratica, per non parlare delle dittature del “socialismo reale” dove i razzismi esistenti non sono mai stati superati né combattuti.

Quella della razza è un’invenzione perversa. Distorsione mostruosa di una meravigliosa e ineliminabile caratteristica e capacità umana, quella di essere tutti differenti e di differenziarsi culturalmente all’interno della stessa specie. Ciò viene usato per ledere e cercare di negare l’unitarietà umana, la comune umanità.


Razzismi
Purtroppo, i veleni razzisti si sono propagati e riprodotti anche tra la gente comune. La perpetuazione del dominio delle minoranze oppressive è facilitata sia dall’identificazione patriottico-razzista di “nemici esterni”, sia dalle divisioni e dalla creazione di gerarchie nelle diverse società. I potenti offrono una sorta di “risarcimento” a chi tra gli oppressi voglia diventare complice e compartecipe. Con la possibilità di rivalersi su qualcun altro, anch’egli oppresso ma “inferiore”: un meticcio su un nero, un nero su un indio, una persona di bassa casta su un fuoricasta, ovvero un “paria”. Esistono quindi razzismi e discriminazioni di vario tipo anche all’interno delle maggioranze oppresse; questione che talvolta viene ritenuta scomoda da affrontare anche tra le fila di chi è impegnato nella solidarietà, magari accontentandosi di semplificazioni o ritenendo che affrontare il “male maggiore” (il razzismo dall’alto) risolverà il “minore” (quello dal basso). Grave errore: i razzismi sono indissolubilmente legati tra loro e ormai tra gli oppressi sono intrecciati a nazionalismi, patriottismi e ideologie reazionarie tra le più varie, talvolta anche poggiate su interpretazioni religiose nefaste. Basti pensare al razzismo presente nelle popolazioni arabe verso gli africani delle zone subsahariane o tra gli indiani del nord verso popolazioni del sud di origine dravidica (di incarnato più scuro) o ai pregiudizi tra diversi settori di immigrati nello stesso paese. I poteri dominanti hanno tutto l’interesse al proliferare dei razzismi dal basso. D’altra parte il contesto democratico, con la sua tipica ipocrisia, è perfetto per il propagarsi di razzismi “light” ma non meno pericolosi. Il loro leit-motiv – troppo spesso sentito – è: “non sono razzista, ma…” a cui normalmente fa seguito una sfilza di inveterati argomenti e pregiudizi xenofobi.
Antirazzismo
L’emergere positivo delle nostre propensioni naturali e il loro manifestarsi in movimenti, così come le rivoluzioni nelle loro migliori espressioni hanno rappresentato un importante fattore di contrasto al razzismo e un indizio di speranze vive e agenti.

È il caso della mobilitazione delle comunità afroamericane che hanno avuto figure storiche di riferimento come Martin Luther King e Malcom X. Abbiamo differenze con alcune delle loro concezioni ma oggi ancor più risalta un messaggio importante che possiamo cogliere: la tensione a concepire la lotta degli afroamericani in una prospettiva complessiva e universalistica, cioè aperta a tutti quelli che vogliono condividerla in ragione di fini condivisi. Quando King spiegava, nel suo famoso discorso del ’63, di avere “un sogno”, quello che i propri figli potessero vivere in un paese in cui “non saranno giudicati per il colore della loro pelle, ma per le qualità del loro carattere”, aggiungeva: “questa meravigliosa nuova militanza che ha interessato la comunità nera non dovrà condurci a una mancanza di fiducia in tutta la comunità bianca, perché molti dei nostri fratelli bianchi, come prova la loro presenza qui oggi, sono giunti a capire che il loro destino è legato col nostro destino, e sono giunti a capire che la loro libertà è inestricabilmente legata alla nostra libertà.” Malcom X, dopo aver rotto con il nazionalismo razzialista reazionario della Nazione dell’Islam, nel suo ultimo anno di vita stava rivedendo positivamente, seppur con limiti, le proprie concezioni. Affermava che si doveva “considerare la lotta del ‘negro’ contro il razzismo dell’uomo bianco come un problema umano” e che era “necessario lasciar perdere tutte le ipocrisie politiche e propagandistiche: ambedue le ‘razze’, in quanto composte da esseri umani”, avevano “l’obbligo e la responsabilità di contribuire a cambiare la situazione umana dell’America”.

Un approccio universalista e non razzializzato che ritroviamo anche in altri campi: dai jazzisti afroamericani più sensibili a scrittori impegnati. Come James Baldwin, che negli anni Sessanta aveva il coraggio di scrivere che il leader del Ku Klux Klan e il capo della Nazione dell’Islam filavano di “perfetto accordo”, perché “la glorificazione di una razza e la conseguente degradazione di un’altra – o altre – ha sempre spianato la via al delitto”.

Se guardiamo alle rivoluzioni, uno degli esempi più fulgidi e vicini a noi contro le discriminazioni, di pacificazione e tolleranza tra le diversità umane ci viene dal primo anno delle rivoluzioni in Egitto e in Siria. Possiamo scegliere uno degli slogan dei/ delle manifestanti siriani in quel 2011 come sua epitome: “Il curdo è fratello dell’arabo e l’arabo è fratello del curdo, il cristiano è fratello del musulmano e il musulmano è fratello del cristiano”. La lista degli innumerevoli esempi positivi potrebbe essere molto lunga pur essendoci stati anche limiti interni, problemi e irrisolti.


Razzialismo
L’esperienza del movimento afroamericano contro il razzismo è passata per l’affermazione dei diritti della popolazione nera e della dignità di essere nero contro la violenza segregazionista e postsegregazionista, per la legittima difesa delle comunità nere dal terrore statale e suprematista. Ma quando ciò sconfina nella difesa della famiglia nera separata o contrapposta al resto dell’umanità, allora cominciano i problemi, si prende una strada che porta a idee e pratiche razzialiste. Cioè, si individua una “razza” con la giustificazione di fattori biologici e/o culturali, la si separa dal contesto umano e la si contrappone ad altre, cadendo in una contrapposizione tra esseri umani. Varianti dei criteri razzisti dei poteri negativi si riproducono così dal basso e – paradossalmente – nel campo stesso delle minoranze oppresse. Non è una questione che riguarda solo il passato. È un problema che si ripropone, in maniera diversa, nei movimenti attuali. Per esempio, nella base costitutiva (“Ciò in cui crediamo”) della rete di Black Lives Matter negli Usa, che tanta importanza ha avuto nelle mobilitazioni più recenti, si legge: “Siamo ostinatamente Neri nel nostro posizionamento. Affermando che le vite dei neri contano non abbiamo bisogno di qualificare la nostra posizione. Amare e desiderare libertà e giustizia per noi è un prerequisito per volere lo stesso per gli altri. Ci consideriamo parte della famiglia Nera globale”.

A ciò fa da contrappunto il fatto che in ambienti liberal e accademici statunitensi va per la maggiore l’idea che i bianchi inserto speciale Nel 2017 Jax, 5 anni (a sinistra nella foto) ha chiesto alla sua mamma un taglio di capelli “uguale a quello di Reddy” (a destra) per “diventare identico” al suo migliore amico e così rendere impossibile alla loro maestra di distinguerli. Usa, 1961. Un gruppo di Freedom Riders, gli attivisti bianchi e afroamericani che viaggiavano insieme verso gli Stati del Sud contro il razzismo e la segregazione. Egitto, Piazza Tahrir 2011. Diverse etnie e credo uniti per la libertà e la dignità. VIII inserto speciale debbano liberarsi del fardello del privilegio razzista che portano in quanto bianchi, instillando un “senso di colpa” per il colore della pelle.

C’è la famiglia nera – se così vogliamo chiamarla – e tante altre famiglie ma in un’unica specie umana, o c’è quella nera globale e punto? Tra “colori” diversi possiamo capirci ed essere insieme? Prima la mia libertà e poi quella degli altri? È un’ulteriore versione dello schema binario bianchi/ neri che ripropone una visione razzializzata del conflitto e non una prospettiva universalistica, aperta, dinamica. Si lascia fuori dallo schema binario lo schieramento antirazzista che già c’è stato da parte di tanti bianchi e di persone di altre etnie, la possibilità di scelta che appartiene ad ogni essere umano, di qualunque “colore”.

Eppure, l’elemento di forza delle mobilitazioni negli Usa contro la violenza poliziesca è stato proprio il riconoscersi di tante diversità nella lotta degli afroamericani, il convergere su aspirazioni comuni.


Una minaccia subdola
Oggi nuove pseudoteorie razzialiste minacciano e intralciano gli sviluppi positivi possibili delle battaglie antirazziste. Questi veleni non vengono solo da lobby accademiche e politiche, ma anche da ambienti che si presentano come progressisti e antirazzisti. Possono attecchire tra chi è impegnato nella solidarietà, spesso la loro negatività si cela nei dettagli o dietro frasi apparentemente radicali e roboanti. Per questo è un attacco infido su cui è bene fare chiarezza.

Il razzialismo può assumere l’idea della razza in base a presunti caratteri biologici, negando così una verità antropologica e scientifica. Oppure può, visto che il razzismo biologico è impopolare in ambienti progressisti, assumere un’idea culturale della razza. Può anche criticare il razzismo biologico però far rientrare la razza come “costruzione culturale e sociale”. Ritiene quindi che un gruppo umano storicamente oppresso abbia una propria identità culturale razziale e che debba, in quanto tale, rivendicare un miglioramento della propria condizione nella società. Non è in discussione la rivendicazione, sacrosanta, di dignità e diritti da parte di qualunque gruppo umano discriminato. Quello che va contestato a chiare lettere è l’introduzione di una logica di gruppo chiuso, di comunità culturale razzializzata. Cioè è inaccettabile la logica, imposta dall’alto e risorgente dal basso, di definizione razziale, anche quando sia solo sul piano culturale e non biologico, che facilita anche il riemergere del razzismo biologico tout-court. Perdipiù, in tal modo la propria identificazione come persone, non solo come gruppo, è condannata ad essere svolta in base all’essere oppresso, quindi nero, ispanico, etc. Chi si è e chi si può essere rimane così inevitabilmente confinato, inizia e finisce solo nel riconoscere l’oppressione e il fatto di essere oppresso. Ciò impedisce che ci si possa riconoscere innanzitutto nelle proprie tensioni e propensioni positive, in quella comune umanità differente di cui abbiamo parlato all’inizio. Insomma, è il contrario dell’assumere e dello scegliere che siamo una sola grande famiglia umana, tutti parenti e tutti differenti in base a essenze e caratteristiche che sono proprie di tutti e ciascuno.

Questa logica razzialista non mette in discussione le radici dell’oppressione, quindi il massimo a cui può puntare è qualche ritocco dell’esistente. Da parte di chi pretende di rappresentare politicamente e ideologicamente le minoranze finisce per essere l’intento di ottenere più spazio e visibilità nelle istituzioni – politiche, accademiche, economiche – per “decolonizzarle” attraverso una maggiore presenza di neri, ispanici, etc. Tutto ciò è illusorio, dannoso e anche fuori tempo massimo: è già stato sperimentato nella più forte democrazia planetaria, gli Usa, per ultimo con la presidenza Obama. I risultati sono sotto gli occhi di tutti.

In fin dei conti, razzismo e razzialismo sono due facce della stessa medaglia, perché entrambi vogliono colpire tratti umani essenziali, che segnaliamo nella Dichiarazione Di alcune verità e libertà fondamentali. Da una parte infatti attaccano e negano “il carattere complesso e combinato delle nostre soggettività”, dall’altra “il legame inseparabile tra la natura umana e le culture”. In concreto: per loro non ci possiamo capire, non possiamo vivere bene insieme se i “colori” della pelle o delle culture non lo permettono. Perdipiù, dietro argomenti apparentemente “progressisti”, il razzialismo cerca di convincere che l’oppressione è il punto di partenza e di arrivo obbligato dell’identificazione di sé e degli altri. Troppo comodo per chi opprime, poco utile per chi cerca un’alternativa al razzismo. Bisogna partire da ben altro.


Comune umanità versus razzismo e razzialismo
È bene, letteralmente, ricominciare dalla verità umana che ci riguarda tutti: la comune umanità differente. Riconoscere ciò che ci è proprio e naturale, assumerlo come principio, come inizio per immaginare, prospettare, sperimentare un percorso di libertà alternativa e positiva, di bene insieme e condiviso. Comune umanità differente vuol dire riconoscere, vivere e godere il fatto che siamo tutti parenti e tutti differenti, che possiamo intendere ciascuno e gli altri come principio di bene possibile. Possiamo fare nostri gli esempi migliori nella storia di convivenza, fraternità e cooperazione tra comunità, popoli, etnie diversi per cultura e tradizioni. Significa essere intransigenti nel combattere chi lede e nega questo principio di bene possibile, da qualunque parte provenga. Non solo contro il razzismo dall’alto ma anche contro le discriminazioni, i pregiudizi e i razzismi che allignano tra la gente comune. Smascheriamo la trappola e gli inganni dell’attuale razzialismo in tutte le sue varianti per proporre un benefico e utile percorso di dialogo, convergenza, cooperazione, mutuo aiuto tra diverse comunità, persone di ogni cultura e origine per una vita migliore. Possiamo unirci su questo principio per difendere la vita e la libertà di chi emigra, per sviluppare la solidarietà e l’accoglienza umana. Possiamo impegnarci perché, contro qualunque razzismo e razzialismo, ogni cultura e comunità sia libera di esprimersi nel rispetto delle altre e della vita delle persone. Quindi anche sapendo mettere in discussione, quando vi sono, pregiudizi negativi sedimentati culturalmente.

Per saperne di più

Guido Barbujani, L’invenzione delle razze, Bompiani 2018
Stephen Jay Gould, Intelligenza e pregiudizio. Contro i fondamenti scientifici del razzismo, Il Saggiatore 1998
Mamadou Ly con Dario Renzi, Dall’Egitto alla Siria. Il principio di una rivoluzione umana e i suoi antefatti, Prospettiva Edizioni 2014
Giovanni Pacini, L’imperfezione etnica, Prospettiva Edizioni 2002
Renato Scarola, Umanità solidale contro il razzismo, Prospettiva Edizioni 2009
Francesca Vitellozzi, La comune umanità differente, Prospettiva Edizioni 2018