Sugli ultimi sbarchi a Lampedusa: il dovere dell’accoglienza

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Il 10 maggio scorso 1400 persone giungono sull’isola. Se l’attenzione si sofferma solo sulle cifre però il rischio è di disumanizzare le migliaia di nostri simili che cercano scampo e affrontano viaggi in mare spesso tragici tanto che dall’inizio dell’anno, secondo le fonti dell’ACNHUR, oltre 500 hanno perso la vita. Solo due settimane fa, mentre il governo italiano rinnovava gli accordi con i torturatori libici, le ONG denunciavano il naufragio di oltre 100 persone senza che si fosse attivata nel salvataggio nessuna istituzione né nazionale né europea. In questo contesto, tra l’allarmismo sconsiderato, gli attacchi strumentali dei politici di destra e l’accordo delle forze di sinistra al governo alle politiche dei respingimenti, sono preziose le voci di gran parte degli abitanti dell’isola, compreso il sindaco che mostra umanità e disponibilità, di giornalisti coraggiosi come quelli del quotidiano Avvenire e delle ONG che salvano le vite in mare. Questi ci parlano del dovere umano dell’accoglienza. E’ chiaro che l’emergenza che si manifesta a Lampedusa come in ogni posto di confine è una emergenza umana e va affrontata umanamente attivando empatia, cooperazione e collaborazione, solidarietà. Questo può portarci a capire le ragioni di chi emigra, ancora più giuste e pressanti in questa fase di pandemia mondiale. Ci permette di intendere come siamo legati a persone pur così lontane nello spazio,  sforzandoci di pensare alla loro vita mentre cerchiano la nostra, ai loro bisogni mentre affermiamo i nostri, accoglierli al meglio denunciando disumanità e razzismo.