Birmania
L’esercito spara, il mondo tace

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A un mese e mezzo dal colpo di Stato, la situazione nel paese si fa ogni giorno più grave: decine di migliaia di persone continuano a manifestare in molte città nonostante la linea direttamente stragista assunta dai militari che sparano raffiche di mitragliatrice su folle disarmate; dopo poche settimane, le vittime sono ormai centinaia.

Il coraggio e le speranze dei popoli birmani, le loro sofferenze e la determinazione a scrollarsi un potere omicida che li schiaccia da decenni meritano vicinanza e solidarietà attiva. Non la troveranno nei potenti della Terra: né fra le democrazie titubanti e ipocrite, che in tante parti del mondo sostengono dittature feroci e che qui cianciano di sanzioni senza troppa convinzione, né tantomeno dall’ingombrante vicino cinese, grande protettore dei militari nonostante le altrettanto ipocrite dichiarazioni sulla non ingerenza negli affari interni dei singoli Stati.

Già in passato la popolazione birmana ha provato a scrollarsi di dosso il giogo dei militari, ma quella attuale non è una semplice ripetizione delle rivolte del passato. Nell’ultimo decennio, il tentativo di un passaggio indolore del potere ad un governo civile è fallito: i compromessi e le complicità con i militari da parte di Aung San Suu Kyi, leader democratica oggi in prigione, l’hanno resa corresponsabile delle tremende persecuzioni nei confronti del popolo Rohingya.

Più in generale, la questione etnica è il nodo cruciale per il futuro del paese: in esso vivono oltre cento comunità, differenti per base etnica e allocazione territoriale, divise e variamente discriminate (rispetto alla maggioranza bamar, circa due terzi della popolazione totale) sin dai tempi del dominio coloniale britannico. Braccato dai militari, il partito di Aung San cerca il riconoscimento internazionale come governo legittimo della Birmania e fa appello all’unità tra le diverse componenti etniche, riferendosi esplicitamente alla necessità di superare le differenze del passato. Ma per superare sul serio ingiustizie ed inimicizie storiche, non basta l’alleanza di un momento, e più in generale battere i logori sentieri della politica; le questioni sul tappeto concernono un possibile e difficile, radicale cambiamento umano, una ricerca attiva di incontro e pacificazione tra le comunità, le generazioni, i generi e le persone, per fronteggiare il pericolo mortale e cominciare un futuro diverso e migliore.