Italia ed Egitto
Tortura, affari e guerra

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Giulio Regeni è stato rapito, torturato e ucciso 5 anni fa. Patrik Zaki è in galera da un anno esatto. I genitori di Giulio e i colleghi di Patrik, insieme a tanti volenterosi, continuano con tenacia a pretendere verità e giustizia. Il dittatore al-Sisi continua a incarcerare e a torturare, in alcuni casi a condannare a morte, decine di migliaia di egiziani. Lo Stato italiano continua a indignarsi (sempre più flebilmente) per l’ostruzionismo dei magistrati egiziani e… ad armare l’Egitto.

I lucrosi affari tra le aziende italiane (pubbliche e private) e lo Stato egiziano vanno a gonfie vele, ma disdegnano la pubblicità: la commessa miliardaria è stata firmata in pieno agosto e la prima nave da guerra è stata consegnata l’antivigilia di Natale, senza neanche un rappresentante del governo a presiedere l’avvenimento. Un affare stipulato in barba alla legge italiana (n.185/1990) e alla risoluzione del parlamento europeo dello scorso 16 dicembre, ma soprattutto in sfregio a Giulio, a Patrik e ad avvocati, giornalisti e oppositori che affollano le galere dell’ultimo Faraone.

Non è solo questione di soldi: una commessa militare di grande portata – ci sono in ballo altre navi, aerei da caccia e da ricognizione, elicotteri, l’addestramento, la tecnologia di supporto, i pezzi di ricambio – implica e rafforza la collaborazione strategica tra Stati, già operativa su diversi fronti: è il caso di Zohr, il più grande giacimento di gas del Mediterraneo scoperto dall’Eni proprio nelle acque egiziane, e della necessità di rintuzzare gli alleati europei (soprattutto la Francia) in Libia e nel canale di Suez.

Tutti gli Stati sono canaglie: è una regola universale che riguarda con diverse forme ma in egual misura le dittature come le democrazie: Roma non è più interessata del Cairo alla sorte di Patrik e dei suoi compagni di cella.