l’esercito spara sui manifestanti
Libertà per tutti i popoli del Myanmar!

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La risposta popolare al golpe dei militari (che mai avevano ceduto realmente il potere) è coraggiosa e moltitudinaria: da sabato 6, in un crescendo quotidiano, centinaia di migliaia di persone hanno sfidato divieti e repressione riversandosi nelle strade di tutte le principali città del paese: giovani, soprattutto, personale medico, maestri, funzionari pubblici, perfino religiosi cattolici e buddisti. L’ampiezza della protesta si misura nel coinvolgimento della capitale Naypyidaw – recentemente costruita dal nulla proprio per tenere i centri del potere al riparo dalle contestazioni – o del periferico Kachin, popolato da una delle numerose minoranze etniche del paese, e dall’ampia adesione allo sciopero generale nelle principali città, Yangoon e Mandalay.

La repressione si va facendo ogni momento più dura: coprifuoco, cannoni ad acqua, arresti, colpi d’arma da fuoco contro i manifestanti; già vi sono le prime vittime e il pensiero va ai precedenti massacri compiuti dall’esercito nel 2007 e nel 1988. La gioventù birmana merita tutta la nostra solidarietà per il coraggio e l’anelito di libertà che la motiva e la ispira. Ma la repressione non è il solo ostacolo che ha di fronte: i suoi leader democratici – a partire da Aung San Suu Kyi, oggi agli arresti – hanno gravi responsabilità per aver condiviso per dieci anni il potere con l’esercito. Un po’ ostaggi e un po’ complici, ne  hanno coperto le peggiori nefandezze tra cui la persecuzione e deportazione di mezzo milione di persone dell’etnia rohingya.