Omaggio a George Orwell
L’attualità del pensarecrimine

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“Intinse la penna nel calamaio e quindi esitò un istante. Ebbe un tremito fino alle budella. Segnare la carta sarebbe stato l’atto decisivo. Con certe piccole goffe cifre, scrisse: ‘4 aprile 1984’.”

(Winston, il protagonista di Millenovecentottantaquattro)

Sapete che nel vocabolario Treccani esiste la parola orwelliano? Sicuramente tanti di voi l’avranno sentita nominare almeno una volta, spesso inserita nel linguaggio corrente con molteplici sfumature di significato. In realtà questo aggettivo ne ha uno ben codificato, che non si limita a rappresentare chi si richiama allo scrittore e giornalista britannico vissuto tra il 1903 e il 1950 ma: “Chi si richiama all’opera, al pensiero e alle riflessioni di George Orwell sul totalitarismo e sulle sue possibili manifestazioni”. Chissà che ne penserebbe lui, così attento all’uso della parola e a chiamare le cose con il loro vero nome, fondamentale “via per conservare la propria umanità” alimentando la memoria e riscoprendone le fonti autentiche. Infatti, sebbene sia indubbio il riconoscimento su larga scala del valore della sua figura, quanto davvero ne conosciamo il pensiero e l’opera, spesso nascosti da quell’aggettivo così ingombrante? Sicuramente troppo poco e immergersi nelle sue opere significa sentire palpitare le imperiose istanze che emergono, a partire dalla denuncia delle caratteristiche dei sistemi totalitari – tutti, nessuno escluso – e dall’aver disvelato, con grande capacità preveggente, alcune dinamiche di fondo della contemporaneità decadente. In Millenovecentottantaquattro – il romanzo pubblicato l’8 giugno del 1949 che davvero merita di essere letto integralmente, non solo conosciuto – egli costruisce alcune delle metafore più lampanti e agghiaccianti di come il potere oppressivo può arrivare ad annullare il pensiero, ad annichilire le coscienze fino a negarle e quindi a disumanizzare: ad esempio, con l’invenzione della neolingua. “Il principale intento della neolingua consiste nel semplificare al massimo le possibilità del pensiero (…) ognuna delle idee che sarà necessaria verrà espressa esattamente da ‘un’unica’ parola, il cui significato sarà rigorosamente definito, mentre tutti gli altri significati verranno aboliti o dimenticati. (…) Ogni anno ci saranno meno parole e la possibilità di pensare sarà sempre più ridotta”. Così, cancellando i vocaboli della “vecchia” lingua “sarebbe stato letteralmente impensabile qualunque altro pensiero perché il pensiero dipende dalle parole con cui è suscettibile di essere espresso”. Per tutti quei concetti un’unica sola parola: pensarecrimine. Assottigliare il vocabolario, quindi, per ridurre la “gamma dei pensieri” e lo “spazio della coscienza”, impoverire il linguaggio per colpire l’identità umana, cancellare i diversi significati per spazzare via la storia e la memoria vivendo un eterno presente inquietante e buio, dimentichi di avere un passato e senza poter immaginare, evidentemente, un qualsiasi futuro.

A ben guardare, ci si rende conto di quanto non sia solo una finzione romanzesca… Le sentite le eco dei negazionismi odierni e della cancel culture?

Nel 2050, e forse anche prima, qualsiasi sostanziale nozione dell’archelingua sarà scomparsa. Tutta la letteratura del passato sarà completamente distrutta. Chaucer, Shakespeare, Milton, Byron… Esisteranno solo in neolingua, non soltanto trasformati in qualcosa di diverso, ma sostanzialmente trasformati in qualcosa che contraddice quel che erano prima”.

George Orwell, 1984, edizione integrale, Crescere Edizioni, 2021, pp. 320, euro 4,90, prima pubblicazione: 8 giugno 1949

tratto da La Comune n°379