Parigi-Dakar in Arabia Saudita
Sportswashing

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Forse Louijain al Hathloul dalla sua cella sentirà il clamore degli spettatori o il rombo dei motori della Parigi-Dakar, la corsa di rally automobilistico più famosa al mondo. Forse nemmeno quello. Perché la corsa, trasferita in Arabia Saudita, passerà in questi giorni a poche centinaia di metri dal carcere ove è rinchiusa. Lei e altre donne sono tuttora detenute, sottoposte a torture e abusi sessuali, dopo essere state arrestate nel 2018 perché hanno rivendicato il diritto di poter guidare un’auto, cosa sino allora vietata dal regime iperpatriarcale e nazistoide della dinastia Saud. Nel chiamare al boicottaggio della corsa, Lina, sorella di Louijain, denuncia il regime e il “riformatore” Mohammed bin Salman che hanno organizzato questo e altri eventi sportivi – supercoppe, incontri di pugilato, etc. – come “sportswashing”, cioè usando lo sport come detersivo per ripulire la loro immagine internazionale dai crimini commessi. Tutto ciò non sarebbe possibile se, dietro le condanne ipocrite e “politically correct” da parte di tanti regimi democratici, non vi fosse la loro sostanziale complicità, all’insegna di petrodollari e di fiorenti business. Ancora una volta: la violenza, il cinismo e l’ipocrisia dei potenti contro il coraggio di chi si batte per i diritti e la dignità di tutte e tutti.