Russia
il tribunale dell’oblio e il rinnovato impegno della memoria

La Corte suprema russa ha scandalosamente ordinato la chiusura di Memorial, associazione fondata nel 1989 (quando ancora esisteva l’Unione sovietica) con lo scopo di riabilitare le vittime innocenti dello stalinismo. L’accusa più grave – oltre a quelle concernenti i suoi finanziamenti dall’estero – è quella di disonorare il “glorioso” passato dell’Urss, di contrastare l’immagine già appannata della “patria del socialismo”. Ma la verità è che, sulla base di accuse infamanti e spesso infondate, Stalin e i suoi successori hanno perseguitato, deportato, incarcerato e ucciso milioni di persone, non solo oppositori politici e scomodi testimoni dei suoi crimini: molto spesso, donne e uomini colpevoli solo di appartenere a categorie sociali o gruppi etnici invisi al regime, presenze disturbanti rispetto alla narrazione ufficiale della storia del paese nel XX secolo.

Vale la pena di riflettere sul fatto che, oltre trent’anni dopo la caduta dell’impero burocratico, sia ancora così poco riconosciuto il ruolo e i crimini dello stalinismo contro quelle speranze di cambiamento, acerbe ma genuine, e quegli ideali socialisti e di fraternità tra i popoli che avevano animato milioni di persone all’inizio del Novecento. Al contrario, seppur molto appannata dalle vicende successive all’Ottantanove, la grande menzogna del secolo scorso sopravvive in parte grazie agli interessi convergenti degli eredi decadenti tanto della burocrazia sovietica che delle democrazie sistemiche. È importante rilanciare un impegno attualistico di riflessione e memoria sia intorno alle speranze di cambiamento e ai suoi migliori protagonisti che ai tradimenti, crimini e complicità dello stalinismo russo ed europeo.