La Corte suprema russa ha scandalosamente ordinato la chiusura di Memorial, associazione fondata nel 1989 (quando ancora esisteva l’Unione sovietica) con lo scopo di riabilitare le vittime innocenti dello stalinismo. L’accusa più grave – oltre a quelle concernenti i suoi finanziamenti dall’estero – è quella di disonorare il “glorioso” passato dell’Urss, di contrastare l’immagine già appannata della “patria del socialismo”. Ma la verità è che, sulla base di accuse infamanti e spesso infondate, Stalin e i suoi successori hanno perseguitato, deportato, incarcerato e ucciso milioni di persone, non solo oppositori politici e scomodi testimoni dei suoi crimini: molto spesso, donne e uomini colpevoli solo di appartenere a categorie sociali o gruppi etnici invisi al regime, presenze disturbanti rispetto alla narrazione ufficialeLeggi Tutto

Quanto coraggio stanno dimostrando i manifestanti che si oppongono agli stragisti! Ancora martedì 30 novembre erano in decine di migliaia a sfilare per le vie di Khartum nonostante i colpi sparati con chiaro intento omicida da polizia, esercito e janjaweed che hanno dimostrato storicamente e più di recente tutta la loro ferocia. Il colpo di Stato di fine ottobre non è bastato ai militari per riprendere il controllo della situazione e così, dopo aver assassinato almeno una cinquantina di manifestanti nelle ultime  settimane, hanno scarcerato il presidente: mentre continuano a uccidere – perfino negli ospedali, come denuncia il Comitato medici sudanesi – fingono che sia ancora in corso una qualche “transizione democratica”; intanto, come ormai è consuetudine, lanciano al mondo minacceLeggi Tutto

Migliaia di persone, donne, uomini e bambini la cui unica colpa è quella di fuggire dalle guerre o comunque cercare un luogo dove vivere meglio e in pace sono braccati come criminali nei boschi al confine tra Bielorussia e Polonia. Sono ostaggio della brutalità di regimi dittatoriali, ma non solo: sono vittime della sconfinata ipocrisia e del cinismo dell’Europa e dell’Occidente democratici. Appena poche settimane fa, l’Unione europea aveva risposto al governo polacco che se intendeva erigere muri per contenere i flussi migratori avrebbe dovuto pagarne la costruzione con i propri soldi. Non certo una posizione di principio in difesa dei “diritti dell’uomo” ma solo una questione di bilancio. E infatti, ora è pronta ad aprire il portafoglio. Non sarebbe unaLeggi Tutto

Nei giorni scorsi il parlamento greco ha ratificato un patto di assistenza militare tra Francia e Grecia che implica il reciproco sostegno in caso di aggressione da parte di un paese terzo. Notizia inquietante. Come sempre, quando gli Stati lasciano intravedere – anche solo come ipotesi – la propria disponibilità all’uso della forza bellica. Allo stesso tempo, però, si tratta di una notizia che ci parla non solo dei pericoli di guerra, sempre incombenti e spesso agenti, ma di un cambio significativo concernente lo scomporsi caotico degli assetti e delle alleanze tra potenze antiche ed emergenti, comunque decadenti, foriero di ulteriori minacce per la vita delle persone comuni e del pianeta. Infatti è la prima volta che due Stati membri dellaLeggi Tutto

Sono passati vent’anni dal sanguinoso attacco terroristico nel cuore di New York in cui perirono circa 3000 persone. Il primo motivo di sollecitazione della memoria e di solidarietà riguarda la ferita inferta a coloro che hanno perso i propri cari, in questo come nei tanti attentati che hanno preceduto e seguito quel giorno di settembre. Fu una morte in diretta, mostruosa e spettacolare, che colpì dall’alto gente comune ignara; peculiare fu l’obbiettivo scelto, al centro di una delle più grandi e importanti metropoli del pianeta, nel cuore della nazione militarmente più potente del mondo. A vent’anni di distanza, è necessario fare un bilancio: che ne è stato della “guerra al terrorismo” condotta dalla democrazia statunitense e dai suoi alleati (Italia inclusa)?Leggi Tutto

“Esigiamo il diritto all’istruzione, al lavoro, alla libertà, alla sicurezza” scandisce una delle manifestanti di Herat. Sono le prime a mobilitarsi, appena due settimane dopo la caduta di Kabul, a una manciata di giorni dall’orrendo attentato all’aeroporto, quando i talebani si stanno appena insediando al potere e ancora non hanno vinto la resistenza nel Panshir. Le manifestanti non si fanno paralizzare dalla paura e dall’orrore né dal caos e dalle false promesse. Sono poche decine di donne; sono innanzitutto avanguardie coraggiose e straordinariamente audaci che indicano la strada del protagonismo diretto. La loro mobilitazione mette a nudo l’inequivocabile natura reazionaria dei talebani e svela le ipocrisie democratiche su un presunto nuovo corso moderato di questi ultimi. Nei giorni successivi, l’esempio delleLeggi Tutto

Nassiriya, Iraq del sud: un banale incidente, del tutto evitabile, provoca un disastro e 92 vittime. Lunedì scorso un immenso incendio ha avvolto il reparto Covid dell’ospedale Al-Hussein, forse per l’esplosione delle bombole d’ossigeno o, come sostengono nell’anonimato alcuni medici, per un corto circuito dell’impianto elettrico. I dati certi sono sufficienti a definire questa vicenda una strage annunciata: ci sono volute due ore perché arrivassero i vigili del fuoco, mentre gli abitanti del quartiere provavano a prestare i primi soccorsi: anche tra di loro, come tra i degenti, i parenti in visita e i sanitari si contano vittime. A tre giorni dall’incendio, le operazioni di ricerca dei corpi e di rimozione delle macerie sono ancora condotte prevalentemente da volontari. “Abbiamo chiestoLeggi Tutto

Già quattro chiese cattoliche sono andate a fuoco nelle ultime settimane, ma il responsabile dei roghi non è il caldo eccezionale che sta flagellando il paese. È probabile che si tratti dell’ultimo capitolo – forse si tratta di gesti di rabbia, o invece di atti finalizzati a confondere le prove – di una storia lunga, raccapricciante e dolorosa: il ritrovamento, nei pressi di collegi cattolici sparsi in tutto il paese, di fosse comuni con i poveri resti di centinaia di bambini. Strappati alle loro famiglie affinché dimenticassero la propria origine, la lingua e la cultura dei popoli originari, tra il 1863 e il 1998 oltre 150 mila bambini sono stati allontanati dai loro affetti e dal loro ambiente, abusati, affamati, predaLeggi Tutto

Lo slogan delle mobilitazioni rivoluzionarie di dieci anni fa risuona oggi nelle strade di Ramallah, dove un corteo è marciato fino al palazzo presidenziale della Muqata. Sotto accusa è l’Autorità nazionale palestinese responsabile dell’omicidio di Nizar Banat, noto attivista e voce critica nei confronti dell’ANP: arrestato più volte, quattro giorni fa è stato prelevato nella propria abitazione nel cuore della notte con grande spiegamento di forze di polizia ed è deceduto appena poche ore dopo mentre era ancora nelle mani degli apparati di sicurezza. È solo l’ultimo grave episodio di repressione nei confronti dei tanti che denunciano il raro livello di corruzione e di autoritarismo che affetta l’ANP, erede della direzione storica palestinese che governa la Cisgiordania sotto la stretta tutelaLeggi Tutto

“Non venite negli Stati Uniti, noi continueremo ad applicare le nostre leggi e a difendere i nostri confini. Se venite sarete respinti. Voglio essere chiara con chi sta pensando di intraprendere quel pericoloso viaggio verso la frontiera”. Queste le parole della vicepresidente degli Stati Uniti, Kamala Harris, che ha poi cercato senza successo di ammorbidire la sua brutale chiarezza parlando di futuri aiuti economici ai paesi dell’America centrale. Dunque su questo terreno l’avvicendamento alla Casa Bianca produce cambiamenti minimi, perfino di stile. Ma milioni di persone dal Guatemala e dall’Honduras da El Salvador e dal Nicaragua  camminano verso nord in cerca di un futuro migliore, fuggendo alla morsa della povertà e della violenza seminate a piene mani da dittatori e gang criminali proliferate neiLeggi Tutto